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Guido Cagnacci, il viaggio di un artista aperto
di Luigi Impieri

A Forlì, a partire dal 20 gennaio per proseguire fino al 22 giugno 2008, si sta celebrando con una grande mostra allestita presso il bel complesso museale di San Domenico, la figura del pittore, Guido Cagnacci (Santarcangelo di Romagna1601-Vienna 1663).
Esponente di spicco del seicento, non solo romagnolo, oggi l’artista viene rivalutato grazie anche a questa mostra, che ce lo riconsegna tra i grandi del barocco.
Grandezza dovuta secondo me, anche per via dei numerosi spostamenti cui l’artista si accompagnava per accrescere le proprie conoscenze, al fine di formarsi quel fine bagaglio culturale che gli servirà per dare vita alle sue opere, alcune delle quali di straordinaria bellezza.
Al contrario di certa chiusa mentalità contemporanea, uscire fuori dal perimetro dell’abitazione natia, ha portato spesso gli artisti a migliorarsi, grazie al confronto culturale conseguente ed è ciò che ha permesso loro di raggiungere risultati sempre più avanzati.
Il caso di Caravaggio, tanto per citare un grande e quasi contemporaneo a Cagnacci, e’ emblematico da questo punto di vista.
Nei suoi innumerevoli spostamenti, sia pure a volte pieni di eventi avventurosi e drammatici, ha fatto sì che l’artista producesse opere, via via sempre più intense.
Tornando a Cagnacci, già lo vediamo giovanissimo percorrere in lungo e largo i villaggi e le città di Marche e Romagna, in compagnia di suo padre mercante di pelli, per ammirare le opere di grandi maestri, che da quelle parti arrivavano da altrove, contribuendo al rinnovamento artistico di quei luoghi.
E’ il caso del caravaggista Orazio Gentileschi, che ritroviamo operare in particolare ad Ancona e Fabriano, luoghi in cui lascerà testimonianze artistiche di grande valore.
A queste fonti, proveniente da un altro altrove, già giovanissimo attingeva il pennello Messer Guido Cagniacci, forse per elevarsi al di sopra di una provincia confortevole e sin troppo rassicurante.
L’artista si sposterà per proseguire così gli studi artistici a Bologna dopo aver dato dimostrazione al padre delle sue capacità, tanto da convincerlo ad avviarlo al mondo dell’arte.
E in questa città, in quattro anni di studi, assorbirà le influenze culturali avviate dall’Accademia degli Incamminati dei Carracci, così come dei contributi del grande Guido Reni nonché del Guercino di cui diventerà intimo amico.
Si vedano a tal proposito gli echi di dette testimonianze nella Madonna col Bambino, e i Santi: Sebastiano, Rocco e Giacinto (Chiesa di San Rocco, Montegridolfo, Rn).
Il Santo dalle fattezze femminee richiama nella posa lo stesso personanaggio legato alla colonna (Gravina di Puglia, Fond. Pomarici-Santomasi) di Ludovico Carracci, ma poi osserviamo nel linguaggio dei gesti e dei volti la lezione assorbita dal Guercino e la matericità della cultura romana di cui già l’artista di Santarcangelo aveva avvertito sentore.
Eppure un ambiente così ricco di contributi, fra i più avanzati d’Europa, non basterà ancora al Cagnacci, tanto che prenderà la strada di Roma, città nella quale già forse era stato e nella quale ancora soggiornerà, alla ricerca anche di poter soddisfare commissioni, magari richieste direttamente dal Papa Gregorio XV, protettore del suo amico Guercino, o forse per assaporare e respirare il profumo delle opere del Caravaggio, che come sappiamo del ‘600 artistico, era stato il grande indiscutibile innovatore.
Cagnacci inoltre a Roma s’imbatterà negli incontri di una vasta cerchia d’artisti provenienti da ogni parte d’Europa, capaci di mescolare senza timori, la propria cultura a quella già trapiantata nella città eterna (Lanfranco, Serodine, Vouet, Van Honthorst…)

Che bella aperture mentale!!!

Certo forse a causa di non veder realizzare i propri desideri di essere particolarmente richiesto come artista, Cagnacci rientra prematuramente nell’aia di quella provincia che gli aveva dato i natali.
Ma io non credo sia stato solo per questo, credo che nell’artista ci fosse la volontà e il desiderio di consegnare alla propria provincia la testimonianza di quanto avesse appreso altrove, di come adesso egli fosse più pronto a realizzare qualcosa di innovativo, moderno e libero dai vincoli imposti dagli schemi di una provincia che gli calzava stretta.
Nascono da qui le idee che partoriranno opere di grande bellezza e di straordinario e sensuale erotismo, ed è ciò che contraddistingue Cagnacci come La Maddalena penitente (Roma, Palazzo Barberini) che fa di Cagnacci uno degli artisti non proprio piegati se non per necessità, a raccontare castamente, i temi evangelici.
Qui la Maddalena appare discinta e denudata, come dormiente col flagello in mano ma senza mostrare i segni inflittasi dell’autopunizione.
Con l’altra mano, sembra più che sostenere, accarezzare il teschio, appoggiandolo in grembo, mentre è abbandonata all’indietro, mostrandosi in totale avvenenza.
Insomma splendida erotica soluzione pittorica.
Comunque, la provincia dell’epoca, non era proprio così indisposta come si potrebbe pensare, a scommettere sulle novità (forse oggi lo è di più o almeno così a me sembra), così che per Cagnacci si prospetteranno importanti commissioni, fra cui la splendida Pala, dei Santi Carmelitani in estasi(Rimini, chiesa di San Giovanni Battista).
L’artista qui ci offre la testimonianza di una pittura alta, intrisa dei contributi dei più grandi maestri del tempo, come la capacità di inserire comunicazione fra i soggetti rappresentati, eredità ricevuta dall’amico Guercino; si veda l’angelo che appoggia con la mano la corona di spine sul capo di Maria Maddalena de’ Pazzi, alla nostra destra, ma che col capo volge lo sguardo verso l’estatico Sant’Andrea Corsini, che a sua volta osserva la Madonna in trono appena apparsagli.
Adoperando la tecnica del ‘’sottinsù’’, egli riesce a trascinare anche noi spettatori ad una visione dal basso verso l’alto che ci permette di viaggiare interamente sull’opera.
Ma questo è anche un dipinto che sul piano dell’equilibrio compositivo, risulta perfetto; la luce data da fonte unica è radente e caravaggesca, e punta sui volti e sull’intimità espressiva.
E poi ancora una volta, colpisce il forte sensuale e appassionato erotismo, che trapela dal tema sacro della “transverberazione” di Santa Teresa d’Avila, trafitta nel cuore, dalla lancia, simbolo di dello Spirito Santo da cui si lascia possedere.
E anche se non risulterà esser vero, mi piace pensare che l’Estasi di Santa Teresa realizzata a Roma in Santa Maria della Vittoria, dal grande Gian Lorenzo Bernini, trovi interessanti rimandi all’opera del Cagnacci.
In questo acceso bisogno di sdradicarsi dalle proprie radici, per trovare nuova linfa creativa, ecco che ritroviamo Cagnacci negli anni ’40 di nuovo a Bologna, forse per essere fuggito al pericolo di doversi maritare.
A Bologna entra di nuovo in contatto con le opere di Guido Reni e questo induce l’artista ad introdurre nella sua pittura insieme al realismo caravaggesco, l’idealismo reniano.
A tal proposito si osservi la bellezza de “La Maddalena portata in cielo dall’Angelo”:
Il corpo realisticamente e caravaggescamente greve della languida Maddalena, sembra faticare per ascendere al cielo, appoggiata sull’angelo che gioiosamente ma faticosamente la sostiene, si avvicina sempre più verso noi spettatori, quasi fuoriuscendo dal dipinto, stagliandosi sul fondo di uno schiarito cielo reniano, ed echeggiando nell’aspetto compositivo, ad alcune ascensioni di Santi del “Pesarese”, Simone Cantarini.

Della serie: quante belle contaminazioni!!!

Ed ecco al culmine della sua fama, vedere approdare Cagnacci nella ormai diventata papalina, città di Forlì.
E’ qui chiamato dalla confraternita dei Battuti Bianchi e Bigi, per partecipare alla decorazione del tamburo e della cupola del Duomo.
Affinchè Cagnacci potesse approdare ad un intervento innovativo, ecco che firmerà un contratto dai tempi di consegna piuttosto lunghi, così che ancor prima di iniziare il lavoro, si sarebbe potuto informare su quanto di più bello sul piano decorativo fosse stato fatto nelle più importanti realtà artistiche dell’epoca.
In diverse occasioni, raggiungerà Parma, per studiare i virtuosismi ascensionali del Correggio, e Venezia per capire meglio il linguaggio in termini tonali del colorismo veneto.
Da qui nasceranno i famosi 2 quadroni rappresentanti rispettivamente le ascensioni di San Mercuriale e San Valeriano, patroni della città di Forlì, a cui si sarebbe dovuto accompagnare anche un affresco per la cupola, con tema. “l’ascensione della Madonna”.

Ciò che Cagnacci non realizzerà mai, benché l’avesse previsto, proprio come prosecuzione degli stessi quadroni.
Poiché l’affresco non sarà mai realizzato, il contratto sarà reciso e i quadroni stessi dopo una brevissima permanenza nel tamburo del Duomo, saranno rimossi; oggi si trovano a disposizione dei visitatori, conservati nella pinacoteca di Forlì.
L’opera realizzata però assolve a un senso di leggerezza, dal linguaggio quasi ludico.
Non vi è severità né monumentalismo.
I Santi sembrano danzare e cantare all’unisono con gli angeli musicanti: nel San Valeriano tengono il ritmo, a suon di tamburi e in San Mercuriale intonano dolci melodie con gli strumenti a corda.
I personaggi principali stagliati contro un cielo estivo, color azzurro pastello, sono così materici che sembrano giocare e fingere di lanciarsi dall’alto del cornicione, sopra di noi, schernendoci.
In questa totale e vivace teatralità dei sentimenti, ritroviamo i segni anche originali del Cagnacci che avvinghia i suoi personaggi dentro una linea ascensionale serpentinata, pronta a raccogliere i nostri sguardi per ricongiungerli col punto più in alto dei quadroni e cioè il cielo, mai realizzato della cupola.
E così, inadempiente, in seguito anche ad alcune maldicenze, ecco Cagnacci ancora emigrare.
Nel 1647, lo troviamo a Faenza dove possiamo supporre anche qui non trascurerà di respirare quanto offrirà la sua terra dal punto di vista pittorico.
Cosi si imbatterà nella forse un po’ tetra e realistica pittura di Biagio Manzoni, con il manierismo di Giovan Battista Razzani, con suo cugino Cristoforo Serra, e poi Cristoforo Savolini, Alfiero Arrigoni , G. Francesco Nagli detto il Centino, il Fossombrone, lo Spadarino, etc.
Nel 1649, Cagnacci va a vivere a Venezia, dove avrà diverse commissioni ed un’amante.
Come non vedere nella produzione artistica di questo periodo, arricchito di soggetti a tema storico, soprattutto Lucrezia e Cleopatra in diverse salse, il richiamo alle sorgenti venete della pittura tonale?
Il colorismo veneto risulta evidente ad esempio ne “Il ratto di Europa”( Marano di Castenaso, (BO) Coll. Molinelli Pradelli).
In cui i freddi e tersi azzurri del cielo sospingono avanti verso di noi (non solo cromaticamente) la calda Europa, nuda e lasciva già in sella al suo amato ormai agghindato di rose, il Toro Zeus.
La scena rappresenta l’attimo precedente a che Europa verrà trascinata fra i flutti verso l’isola di Creta, là dove sarà poi posseduta da Zeus, che gli si rivelerà, unendosi carnalmente a lei.
Dopo un breve rientro in Romagna, Cagnacci ripartirà questa volta verso il suo definitivo viaggio: Vienna.
Chiamato qui, dall’arciduca Leopoldo Guglielmo e pare anche dall’Imperatore in persona, per eseguire un vero e proprio capolavoro, ciò che può essere definito, la summa della sua attività: “La conversione della Maddalena”(Pasadena, Norton Simon Museum).

L’Opera inaccessibile al prestito e per questo non presente alla mostra forlivese, mostra una conturbante Maddalena che dopo essersi liberata da un demonio birichino (scacciato da un angelo, che sembra più incarnare un erotico Amore che non il messaggero di Dio) e nell’atto dell’essersi spogliata non solo dei beni (confronta a tal proposito La Maddalena, del Caravaggio, presente in mostra) e’ accolta da Marta.
La luce che richiama anche Veermer, è nei primi piani ancora una volta radente e si offre alla delineazione in chiave psicologica dei personaggi, ma anche a mettere in scena, su uno sfondo da colorismo veneto, le grazie armoniose e avvenenti dei protagonisti dell’Opera.
 

 

 
 

 

 
 

agli incroci dei venti, 11 maggio 2008

 

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