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agli incroci dei venti


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Intersezioni 3
di Luigi Impieri

Nella Calabria estiva, di quest’anno, rassegnata, ad ardere per le fiamme dei piromani (che a differenza dei lavavetri non vengono chissà perché, mai individuati…), mi sono imbattuto nella scoperta di Scolacium, un sito archeologico che si trova ubicato, nel comune di Roccelletta di Borgia nel catanzarese.

L’incontro mi è apparso come una meteora, come aver scoperto un’isola felice, un fiore all’occhiello per questa terra contraddittoriamente e contemporaneamente immersa nel bello e nel brutto.

In una terra che pullula di criminalita’, governata da una classe politica cinico-clientelare che fra i tanti primati (in negativo, s’intende!) ha anche quello di essere partecipe di un consiglio regionale che trasborda di inquisiti, l’iniziativa promossa dall’amministrazione provinciale di Catanzaro, dal titolo “Intersezioni 3”, realizzata all’interno del parco archeologico di Scolacium, assume un tono quasi sinistro e alquanto surreale.

La curiosità che mi ha portato a visitare questo sito e’ stata ampiamente ripagata, mi sono caricato nuovamente di un orgoglio smarrito, quale figlio di questa regione, come quando mi è capitato di ascoltare il dissenso espresso dai giovani locresi per l’ennesimo omicidio di ‘ndrangheta.

Ma andiamo con ordine.
 

Minervia Scolacium è la colonia romana che si impiantò nel 123-122 a.C. sulla città greca di Skilletion, a nord di Caulonia.

In età bizantina dette i natali a Cassiodoro (487-583 d.C.), uno dei grandi autori della grecità tarda, cui si deve una messe di opere di carattere teologico ed enciclopedico.

Il declino cominciò con la guerra greco-gotica del VI sec. d.C., e si concluse con l’abbandono della città nell’VIII sec. d.C. da parte degli abitanti, che, ripetendo una pratica comune in quell’epoca sul suolo italico, trasferirono il loro insediamento sulle alture circostanti.

L'ultimo intervento edilizio si deve ai Normanni che, tra XI° e XII° secolo, rioccuparono per qualche decennio il sito, costruendo una grande basilica, nota come S. Maria della Roccella, da cui deriva il toponimo attuale, Roccelletta.

Gli scavi, iniziati nel 1965 da Ermanno Arslan, per conto della Soprintendenza Archeologica, continuano ancora oggi secondo un programma annuale, e hanno riguardato prevalentemente le grandi emergenze monumentali del foro, del teatro e della basilica normanna.

Nel 1982 tutta l'area è stata espropriata dallo Stato per costituire il Parco Archeologico della Roccelletta.

Da allora si è lavorato al ripristino degli edifici esistenti, per ricavarne magazzini, laboratori, uffici (il vecchio frantoio) e un Antiquarium, dove esporre quanto riportato in luce.
 

 

Scolacium


In questo sito archeologico, straripante di bellezza, immerso fra gli ulivi che si osservano a perdita d’occhio finchè non si congiungono al mare, si è prodotta la realizzazione di un evento dal respiro internazionale, in cui le opere di artisti contemporanei, si sono incontrate coi i reperti archeologici ritrovati in loco, col fine di procedere ad uno scambio di informazioni “segniche” che proprio per le implicite distanze storico-artistiche-espressive, sono riuscite nell’impresa di citarsi vicendevolmente, annullando il tempo e lo spazio.



Scolacium

 

Cosi’ come se qui vi fossero sempre state, si trovano allocate fra gli elementi architettonici, le opere del tedesco Stephan Balkenhol, del belga Wim Delvoye e dell’inglese Marc Quinn (la cura espositiva e la scelta dei luoghi e’ stata concertata con gli stessi artisti che hanno abitato qui durante l’allestimento).
 


Le opere di Balkenhol capeggiano fra i muri, le finestre e le nicchie di rosso mattone che delineano la basilica bizantineggiante nonchè fra le apparecchiature di macinatura delle olive, alloggiate negli ambienti del museo dell’ex frantoio.
Opere dal formato sovradimensionato o al contrario sottodimensionato, in cui l’artista ha scolpito in un legno lasciato volutamente grezzo e poi colorato, figure umane a corpo intero o busti che alludono all’idea di un’umanita’ contemporanea, rassegnata e sola, chiusa nel proprio esistenzialismo.

Piu’ avanti, nell’area aperta del foro, l’impatto e’ avvenuto con i “mezzi meccanici” di Delvoye, dichiarate imitazioni di attrezzature adibite al lavoro edile: camion, ruspe, gru… riprodotte con identica scala di misura ma svuotate di senso e matericamente, per via di una traforatura impressa su di esse, in chiave gotica.
 


L’idea mi è sembrata quella di voler “sostituire al “peso” non solo materico dei mezzi di produzione, della moderna societa’ dei consumi, la leggerezza delle forme dell’arte che in quanto non asservite alla produzione e ai bisogni materiali ci avvicinano maggiormente, al godimento del bello.

Ridisegnando elementi decorativi di gusto gotico, l’artista ci provoca, e ci richiama a riflettere sul paradosso che il bello sosti nei luoghi privi di un significato concreto, evidenziando il suo contrario e mettendo in risalto, come l’utilitaristico privi se stesso del piacere di godere di tanta bellezza.

Il lavoro di Quinn investe invece due luoghi espositivi diversi.

Nel Teatro romano egli espone forme bronzee, piuttosto oscure che riproducono quarti di corpi di animali sventrati che sono, proprio perche’ in questo luogo esposti, gli attori protagonisti della nostra cruda (e crudele) realta’.

All’interno del Museo Archeologico di Scolacium, l’artista pone a confronto le sue opere in marmo bianco, che ritraggono personaggi viventi focomelici, oltre che atleti e contorsionisti, nel tentativo di confrontarle con le originali statue romane acefale e mancanti di alcuni arti.

 

Marc Quinn


Anche qui il concetto serve ad evidenziare le contraddizioni della realta’ e dell’arte.
Se si ammira, e senza remora alcuna, si afferma della bellezza delle statue antiche, nonostante le parti mancanti, perché non affermare con altrettanta sicurezza la stessa cosa osservando i personaggi scolpiti da Quinn?
In questa contraddizione che ci lascia muti ed incapaci di rispondere sta l’enigma del punto di domanda proposto da Quinn.

La bellezza del luogo, l’organizzazione efficiente dell’evento, la disponibilità delle guide hanno prodotto una mostra particolarmente accogliente, che ha permesso ai visitatori di capire meglio come non ci siano distanze nell’arte; questo proprio perché l’esposizione ha offerto un ingrandimento, per poter riflettere sulla natura della cultura di antiche civiltà e su quella nostra contemporanea.

 
 

 

 
 

agli incroci dei venti, 18 ottobre 2007

 

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