Coalizione Italiana Contro la Pena di Morte

 
 

Edward Green

Data di esecuzione 5 ottobre 2004

Edward Green 999073
12002 South Polunsky Unit
Livingston Texas 77351 USA


Edward Green è un giovane afroamericano, nato il 5 Marzo 1974 a Houston, che dal 1992 vive nel braccio della morte del Texas.
La sua storia, simile a quella dei tanti condannati a morte, si perde fra ipotesi d’innocenza e di colpevolezza, fra prove confuse e confusi difensori d’ufficio. Il suo caso non ha suscitato particolare interesse, e il suo arresto non può essere considerato la ritorsione per un suo impegno sociale o politico.
Edward aveva appena diciotto anni quando entrò nel braccio della morte di Ellis I, "l’inferno sulla terra". Condannato a morte, Edward si ritrovò solo, a dover affrontare il suo destino, una tormentata attesa della morte, senza il sostegno di nessuno. La sua famiglia non aveva né i mezzi, né la forza di aiutarlo.
Vivere nel braccio della morte vuol dire smettere di essere un uomo e diventare un numero, subire un regolamento il cui obiettivo è umiliare, annientare l’identità di persone che la società non ritiene più degne di vivere; ogni bassezza, ogni crudeltà, ogni punizione nei confronti dei detenuti è dunque consentita.
Per Edward iniziò un periodo difficilissimo, di sconforto totale; tuttavia, in quell’inferno ricevette un gesto di grande solidarietà da Paul Rougeau, un uomo detenuto nel braccio della morte dal 1978.
Paul Rougeau, uno dei tanti innocenti uccisi dallo Stato del Texas, era riuscito a creare un forte movimento di opinione intorno al suo caso e corrispondeva assiduamente con alcuni italiani, che erano diventati i suoi più cari amici. Nelle sue lettere, che erano sempre lette dalle guardie del penitenziario addette al controllo della posta dei detenuti, Paul scriveva esattamente quello che succedeva in carcere, le punizioni, la violenza e la crudeltà dei trattamenti riservati ai detenuti. Ovviamente non ebbe vita facile, ma non si arrese e la sua ostinazione sconcertò a tal punto le guardie che cominciarono ad averne soggezione.
In quell’inferno Paul si accorse di quanto Edward fosse solo e smarrito e gli regalò una delle tante lettere di sostegno che riceveva; così Edward scrisse la sua prima lettera ad una giovane donna italiana, Stefania, che gli rispose con parole semplici: "Per te non ci sarà più solitudine".
Stefania ha mantenuto la sua promessa e, grazie al suo impegno, nel Maggio 1994, è stato costituito a Napoli il comitato di difesa legale a sostegno di Edward Green.
Altre persone hanno cominciato a corrispondere con Edward, che quale attraverso le lettere ci ha raccontato la sua difficile vita. Suo padre lavorava per l’esercito americano e, con la famiglia, si spostava continuamente fra il Texas, la Germania ed il North Carolina. Alcuni anni dopo la nascita di Edward, decise di lasciare l’esercito, forse lusingato dalla possibilità di fare carriera come pugile. Nulla andò come previsto e così, per sostenere la famiglia, cominciò a svolgere attività illecite, fino al traffico di stupefacenti. Quando Edward aveva undici anni, il padre fu barbaramente ucciso per un regolamento di conti; fu proprio Edward a scoprire il corpo del padre impiccato ad un albero, con i genitali mutilati. Edward ne rimase traumatizzato. Due anni dopo lo zio, che aveva in qualche modo cercato di supplire alla figura paterna, seguì la stessa sorte. A questi lutti, Edward reagì provando risentimento per tutti, cogliendo ogni occasione per sfogare la sua rabbia e le sue frustrazioni.
La madre di Edward cercò di ricostituire una famiglia. Si unì ad un uomo ed ebbe due bambine. Nonostante ciò, cominciò ad abusare di alcolici e droghe. Edward assistette impotente al crollo della madre, nei confronti della quale perse fiducia e rispetto; cominciò a non andare più a scuola e a spacciare droghe. Fu spesso affidato ad una zia e alla nonna materna, ma mai stabilmente.
All’età di sedici anni, Edward venne rinchiuso in un riformatorio di Houston, la Giddings School, per aver avuto rapporti sessuali con una minorenne. In quell’istituto gli fu diagnosticato una sindrome da stress post-traumatico. I traumi vissuti, la solitudine, la violenza che lo circondavano erano la causa di questo disturbo.
Un esperto ha spiegato che Edward è cresciuto in una situazione di violenza e prevaricazione equivalente ad uno stato di guerra; per i bambini è fondamentale che si sentano protetti dai genitori, ma Edward, proprio come i bambini che vivono in uno stato di guerra, non ha mai avuto questa percezione, provando sempre insicurezza e paura. Le persone che soffrono di questo disturbo nel corso della vita si caricano di frustrazioni e paure che cercano di mascherare con l’aggressività.
Alla Giddings School, Edward venne sottoposto ad una terapia che inizialmente non diede risultati; però, in un secondo momento Edward cominciò a confidarsi con i terapisti e a provare empatia nei confronti delle persone cui aveva fatto del male, ma poiché stava per compiere la maggiore età, nessuno aveva più la responsabilità di riabilitarlo. Così Edward tornò alla vita di sempre, si legò ad una ragazza, Nikki, da cui ha avuto una bambina, Kiara, nata il 29 Ottobre 1992, quando era già in carcere.
Edward fu condannato a morte perché ritenuto colpevole del duplice omicidio di Edward Perry Haden di 72 anni, e di Helen O’Sullivan di 63 anni, entrambi bianchi, avvenuto la notte tra il 30 ed il 31 Agosto 1992. Venne fermato l’1 settembre 1992 perché viaggiava in metropolitana senza biglietto e senza documenti di riconoscimento; solo quando si trovava già in stato di fermo, al dipartimento di polizia, fu accusato di omicidio. Ma non furono le indagini della polizia a collegare Edward agli omicidi, bensì una telefonata fatta da un informatore anonimo proprio a quel distretto di polizia, dove si trovava Edward.
Gli avvocati d’ufficio, Ricardo Rodriguez e Ronald Hayes, che avrebbero dovuto difendere Edward, non ritennero necessario incontrarlo prima del processo, né che egli testimoniasse per discolparsi.
La sentenza di condanna alla pena capitale, comminata in primo grado di giudizio, è stata confermata in sede di Authomatic Council dalla Criminal Court of Appeal of Texas, il cui unico compito è valutare se il processo si è svolto nel rispetto della Costituzione.
Il 5 Febbraio 1996, un altro avvocato d’ufficio, Janet Morrow, presentò la richiesta per il Writ of Certiorari presso la Corte Suprema, affinché questa potesse riesaminare gli atti del processo, le prove, le testimonianze, e fosse messa in grado di decidere nel merito della sentenza, ma il 24 Giugno 1996 la Corte Suprema rigettò il ricorso.
Un aspetto paradossale di questa situazione è che i vari difensori d’ufficio, che si sono succeduti nelle fasi del processo di Edward, non lo hanno mai reso partecipe o informato degli appelli. Addirittura l’avvocato Morrow, si fece sempre negare al telefono ai rappresentanti del comitato, e solo per l’ostinazione del comitato il marito dell’avvocato, che lavorava nello stesso studio legale, accettò di dare delle informazioni, ed ebbe il coraggio di dichiarare che la legge impediva alla moglie di incontrare personalmente il suo assistito, ovviamente era una falsità.
Per molto tempo, le notizie inerenti la situazione legale del caso di Edward ci sono state fornite da una rappresentante di Amnesty International negli USA, perché non solo i legali rifiutavano ogni contatto con il comitato, ma lo stesso Edward non ne sapeva nulla.
Nel Luglio 1996, Tania, una ragazza del comitato andò in Texas per incontrare Edward, che durante il colloquio, con un mezzo sorriso, come per non allarmarla le disse: "Credo di poter vivere ancora per alcuni anni".
Nel Gennaio 1997, lo Stato del Texas stabilì di stanziare maggiori fondi per la difesa dei condannati a morte, con lo scopo di sedare le polemiche in merito alla totale assenza di mezzi dei difensori d’ufficio, e di simulare un impegno per garantire un’efficiente difesa a tutti. Così nel Marzo 1997 ad Edward fu assegnato un altro avvocato d’ufficio, Michael Charlton.
L’avvocato Charlton non crede che la pena di morte sia uno strumento di giustizia ed è molto critico nei confronti dei precedenti difensori di Edward, perché non avevano né letto gli atti d’accusa, né preparato un tentativo di difesa.
I fondi statali, ovviamente, non stati sufficienti alle spese per le investigazioni, che sono state sostenute dal comitato. Nell’Ottobre 1997, l’avvocato Charlton ha presentato la richiesta di Habeas Corpus, un appello fondamentale per la riapertura del processo. La Corte di Stato può pronunciarsi in qualsiasi momento, accettare o rifiutare di accordare un nuovo processo.
Gli elementi in favore di Edward sono tantissimi: testimonianze costruite dall’accusa, un collegio difensivo che, meno e peggio, non avrebbe potuto fare, ed una serie di attenuanti che si possono ignorare solo se si ritiene che certe persone nascano unicamente per popolare i bracci della morte, perché neri, poveri e svezzati con droghe, armi e degrado.
Nell’Aprile 1998, altri due membri del comitato hanno incontrato personalmente Edward, nel parlatorio del braccio della morte, dove non è consentito nessun contatto diretto fra i detenuti ed i visitatori, che sono separati da uno spesso vetro rinforzato da una rete metallica. Queste barriere che impediscono anche semplicemente di sfiorarsi la mano, non fermano però le parole, gli sguardi, i sorrisi, su cui viaggiano i sentimenti e le emozioni.
Durante le visite, Edward ha parlato con calma, forse con rassegnazione, ma con maturità, ed ha dimostrato una grande ricchezza interiore; nelle sue parole non c’erano né disperazione, né rancore per una società che l’ha costretto a vivere nei ghetti più violenti di Houston e che, fin dall’infanzia, non gli ha risparmiato nessun orrore della vita.
Nessuno vuole convincervi che Edward sia un angelo nero, ma possiamo dire con certezza che è un giovane uomo, consapevole di vivere per morire, ucciso da uno Stato "civile" che stipendia coloro che provvederanno alla sua esecuzione.

Edward ha affidato ai suoi amici italiani poche parole di riconoscenza per tutti coloro che si impegnano per lui:

Ellis I – Huntsville, 21 Aprile 1998

"A tutti i membri del comitato:
Avere conosciuto Lorenzo e Valeria è stata per me un’esperienza importantissima. Spero che un giorno sia possibile incontrare tutti voi personalmente, perché solo chi mi ha davvero conosciuto, chi mi ha visto in questo luogo, può comprendere e spiegare a tutti voi quali sono le mie sofferenze, la mia angoscia, ma anche i miei momenti di gioia e dirvi quali sono i miei sentimenti nei confronti di tutti voi, che mi siete così vicini.
Vi mando il mio amore, tanto amore."

Nel Gennaio 2000, il braccio della morte è stato trasferito da Ellis One di Huntsville, alla a Livingston, dove vige un regime di vera e propria segregazione. Noi che siamo amici di Edward chiediamo a tutti voi di collaborare nella lotta per l’abolizione della pena di morte e di aiutarci a garantire ad Edward una difesa adeguata ed un processo equo.

 
 

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