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Sul caso di
Howard Guidry
di
Kenneth Williams
Drake Law Review, Vol.
53, Anno 2005
libera
traduzione di Arianna Ballotta
[…]
Nel 1997 venni incaricato di rappresentare Howard Guidry nel
procedimento di habeas corpus. Difendere Guidry mi diede l’opportunità
di toccare con mano e di conoscere direttamente un caso di cattiva
amministrazione della giustizia da parte di rappresentanti dello Stato.
Guidry era stato giudicato colpevole di aver ucciso, per denaro, la
moglie di un agente di polizia ed era stato condannato alla pena
capitale. Lo Stato aveva ottenuto il verdetto di colpevolezza e la
condanna a morte basandosi su tre prove cruciali:
1)
la confessione rilasciata da Guidry alla polizia;
2)
la testimonianza della ragazza dell’individuo accusato di aver assunto
Guidry come sicario;
3)
la testimonianza di due vicini della vittima che avevano detto di aver
visto un uomo di colore lasciare la casa della vittima all’epoca
dell’omicidio.
Considerando l’apparente solidità del caso così come presentato dallo
Stato, la possibilità di ottenere un riesame sembrava davvero remota.
Questo caso è l’esempio perfetto di cosa accade quando la polizia e la
Procura Distrettuale sono sotto pressione e devono a tutti i costi
risolvere un caso. Poiché la vittima era la moglie di un agente di
polizia e suo marito era il sospettato numero uno, al caso venne dato
moltissimo risalto. Passarono quattro mesi dall’omicidio al momento che
la polizia aspettava fremendo: un arresto. Guidry era stato arrestato
per un altro caso, una rapina, che nulla aveva a che fare con
l’omicidio. Qualcuno disse alla polizia che Guidry poteva essere l’uomo
giusto. Venne quindi interrogato e, durante l’interrogatorio, “rilasciò
una dichiarazione nella quale ammetteva [di essere il colpevole]”.
Guidry, però, durante l’interrogatorio [e prima di rilasciare
dichiarazioni] aveva chiesto che il suo avvocato [quello assegnatogli
per la rapina] fosse presente. Guidry disse in seguito che i due agenti
che lo stavano interrogando lasciarono la stanza per un po’, poi
tornarono e gli dissero di aver parlato con l’avvocato e che quest’ultimo
aveva detto che poteva dire alla polizia ciò che credeva. La legge è
chiara in merito: quando una persona sospettata chiede di vedere il suo
avvocato, la richiesta deve essere soddisfatta. Soltanto il sospettato
può decidere se riprendere o meno a parlare.
Il difensore di Guidry al processo chiese di non considerare la
confessione, ma queste mozioni vengono accolte molto raramente, in
quanto – in tali circostanze – l’unica prova a dimostrazione del fatto
che la richiesta [di vedere l’avvocato] è stata fatta, è la versione dei
fatti dell’imputato, e le Corti tendono a dare credibilità alle
affermazioni degli agenti di polizia e non a quelle degli imputati. Ma
Guidry poteva dimostrare di aver realmente fatto quella richiesta.
Diverse settimane dopo aver ricevuto l’incarico di difendere Guidry al
processo, l’avvocato, alla presenza di un Giudice, ebbe una
conversazione con i due agenti di polizia che avevano ottenuto la
confessione di Guidry. Dopo che uno degli agenti affermò di aver
ottenuto la confessione, gli fu chiesto dall’avvocato difensore se
avrebbe mai interrogato un sospettato che sapeva essere difeso da un
legale. L’agente rispose “avevo parlato con il suo avvocato, il quale
aveva detto che potevo parlargli”, e questo confermava quanto asserito
da Guidry e cioè che aveva chiesto agli agenti la presenza del suo
legale durante l’interrogatorio. […] L’avvocato di Guidry dichiarò in
seguito che, al contrario di quanto asserito dagli agenti, egli aveva
dato chiare istruzioni a Guidry affinché non parlasse con nessuno, e che
non aveva dato ad alcun agente il permesso di parlare al suo cliente in
sua assenza. […] Gli agenti di polizia sostennero che quanto asserito
dall’avvocato non era vero e, di conseguenza, accusarono di spergiuro
quattro membri dell’Ordine (l’avvocato difensore, il suo assistente, il
Giudice e un altro avvocato che, pur non essendo collegato al caso,
aveva udito la conversazione). Al processo la mozione nella quale si
chiedeva che la confessione non fosse considerata venne rigettata e il
Giudice non fornì alcuna spiegazione in merito: per quale ragione
quattro membri dell’Ordine avrebbero rischiato le loro carriere per
proteggere Guidry? La confessione venne utilizzata come prova a carico
di Guidry.
Lo Stato presentò anche la testimonianza della ragazza di uno dei
coimputati di Guidry, che lo accusava, e le dichiarazioni di due vicini
di casa della vittima che dissero di aver riconosciuto in Guidry l’uomo
di colore che aveva lasciato la casa della vittima, ma che nel
contro-interrogatorio dissero di non essere certi nemmeno della razza
dell’aggressore. La Texas Court of Criminal Appeals [Corte Penale di
Appello] confermò il verdetto e la condanna a morte.
Come conseguenza dell’incapacità del Giudice di venire a capo dei dubbi
evidenti nelle testimonianze contrastanti rese al processo, […] la Corte
Federale distrettuale esaminò il caso. Nel corso dell’udienza l’agente
che aveva eseguito l’interrogatorio cambiò la sua precedente versione
dei fatti e disse di ricordare di aver avuto una conversazione con il
legale di Guidry, ma di non rammentare l’argomento della conversazione.
Di conseguenza, il Giudice del Distretto Federale arrivò alla
conclusione che Guidry aveva presentato prove chiare e convincenti che,
come suo diritto, aveva effettivamente richiesto la presenza del suo
legale, richiesta però ignorata dagli agenti di polizia. Nello
specifico, il Giudice decise che il racconto dell’interrogatorio fatto
da Guidry era verosimile e che quello degli agenti non lo era, e che
Guidry era stato raggirato e convinto a rilasciare una confessione in
violazione alle leggi vigenti. Inoltre, la Corte Federale decretò anche
la violazione dei diritti di Guidry previsti dalla Confrontation Clause
[diritto dell'imputato a far contro-esaminare nel dibattimento i testi
d' accusa, N.d.T.].
[...]
Il caso di Guidry fornisce un’immagine eccellente dei comportamenti
indegni da parte di rappresentanti dello Stato nei casi capitali. Al
fine di condannarlo, la polizia ingannò Guidry e gli estorse una
confessione. Inoltre, il Procuratore presentò una testimonianza
indiretta (di “sentito dire”), che - come tutti sanno - non poteva
essere ammessa. Grazie alle circostanze insolite che hanno permesso a
Guidry di provare le sue affermazioni in merito all’errata condotta da
parte degli agenti di polizia, e grazie all’abilità dell’avvocato
difensore, la polizia e la Procura sono state smascherate. Purtroppo,
però, la maggior parte dei condannati a morte texani non sono così
fortunati.
[…]
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