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11 settembre: tempo di bilanci
di P.Oddone
Il secondo anniversario degli attacchi
terroristici dell'undici settembre può essere l'occasione per fare il punto
sull'andamento della nuova politica estera statunitense.
Come molti sanno, buona parte delle teorie che hanno guidato l'operato
dell'amministrazione Bush in questi due anni sono frutto di strategie già ampiamente
illustrate nel Project for a New American Century (PNAC)
a partire dal lontano 1997. L'associazione culturale battezzata con questo altisonante
nome è di fatto il vero e proprio "think tank" dell'elite intellettuale del
neoconservatorismo americano, di cui sono autorevoli e convinti sostenitori molti dei
consiglieri dell'attuale presidenza.
Le idee e le strategie, dunque, erano state messe a punto molto tempo prima del fatidico
"september eleven". Il terrorismo internazionale non puo' essere considerato la
ragione ispiratrice dell'attuale politica estera, ma solo la causa scatenante che ha
prodotto un'accelerazione di strategie già predisposte.
Ora, messa momentaneamente da parte l'emozione del ricordo di quel tragico giorno di due
anni fa, possiamo tentare di fare un bilancio.
"Guerra Infinita", dichiarò George W.Bush all'indomani degli attentati al WTC e
al Pentagono, e guerra fu davvero.
Raccolto rapidamente il consenso internazionale, l'attacco all'Afghanistan dei Talebani fu
la prima reazione militare del gigante ferito.
Ma, come si evince da una attenta lettura di alcuni documenti pubblicati nel sito del
PNAC, il vero obiettivo primario, già da molto tempo, era l'Iraq.
Sappiamo com'è andata la guerra. Sappiamo come sta andando la "pace".
La nuova politica americana non è fatta solo di operazioni miltari in grande stile: anche
la diplomazia ha cambiato rapidamente registro. "O con noi o contro di noi" è
stato lo slogan piu' significativo, "I capi del terrorismo saranno presi, vivi o
morti". Wanted, dead or alive.
Non sono piu' i tempi "leggeri" di Clinton, e gli anni dell' "edonismo
reganiano" sono uno sbiadito ricordo. L'America è in guerra. Guerra perenne,
costante, infinita. L'industria militare lavora a pieno regime, il deficit di bilancio
sembra un fattore secondario, gli stanziamenti per la difesa raggiungono quote mai viste
prima.
L'idea della "pax americana", portata con le armi in pugno in giro per il mondo,
è una strategia ambiziosa ma non priva di rischi. L'egemonia americana come sigillo di
pace, come viene proposta nel PNAC, è un obiettivo verosimile?
Difficile a dirsi. Piu' difficile ancora pensare alle implicazioni insite nella messa in
atto un intero impianto strategico internazionale basato quasi unicamente sui rapporti di
forza miltare. Ma tant'è. Chi sollevava dubbi è stato zittito bruscamente. Chi si
opponeva alle guerre tacciato di tradimento. I "necons" non amano i compromessi
e l'hanno ribadito a piu' riprese.
Adesso però sarebbe tempo di bilanci.
L'Afghanistan, liberato dai Talebani è caduto nel caos. Bande di "signori della
guerra" hanno il controllo della maggior parte del territorio, i soldati americani
subiscono attacchi quotidiani da parte di fazioni ostili. Il governo centrale di Kabul ha
l'autorevolezza di una banale amministrazione comunale, forse anche meno.
Ricostruzione? Non se ne parla quasi più: manca il minimo di sicurezza necessaria. La
popolazione, stremata da oltre vent'anni di guerre ininterrotte, vede solo buio
all'orizzonte.
E La Base ( Al-Qaeda) ? Bin Laden non sta più in Afghanistan, almeno così pare. Lo
sceicco è però uccel di bosco, così come il Mullah Omar. E lancia i sui strali dalle tv
satellitari arabe. Quasi una beffa, e comunque non certo una vittoria.
La guerra in Iraq era sembrata un'operazione militare a dir poco brillante: in pochi
giorni i marines sono arrivati a Bagdad con i loro blindati. Ma il dopoguerra, se di
dopoguerra si può davvero parlare, è quasi un incubo. E Saddam Hussein è vivo e vegeto
e lancia proclami da nastri preregistrati. Se non è una sconfitta, di certo non si tratta
di vittoria.
In queste operazioni l'ONU è stato tenuto in disparte. Nell'amministrazione Bush il
multilateralismo è visto piu' o meno come un fastidioso intoppo.
Cosi' capita che la Liberia chiami e che Bush si trovi alle strette: il gendarme globale
deve fare anche questo?
Dopo molti tentennamenti qualche dozzina di Marines arriva a Monrovia e gli USA premono
per l'esilio del Presidente Taylor, che ripara in Nigeria. La sanguinosa guerra civile a
questo punto sembra volgere all'epilogo, proprio grazie all'intervento americano.
Ma, dopo pochi giorni, le armi riprendono a tuonare e il sangue scorre di nuovo nel caos
liberiano. I marines fanno quello che possono, difficile che arrivino rinforzi: l'esercito
USA è ai massimi delle sue possibilita' di impiego nel mondo.
Un'altra occasione mancata: la "pax americana", anche qui, resta un miraggio.
Anche in Colombia, area di primaria influenza USA, il "Plan Colombia" gira a
rilento. Le Farc , Le ELN , i gruppi paramilitari di destra, i morti, i rapimenti. Niente
pax americana, nessuna vittoria.
Un'altra vicenda saliente è stata la tensione crescente tra gli USA e altri stati, spesso
definiti "canaglia". Quali sono stati i risultati di un lavorìo diplomatico
così denso di ostentazione di muscoli?
La Corea del Nord ha fatto in modo di raggiungere al piu' presto un buon potenziale
nucleare di deterrenza, intravvedendo nel riarmo nucleare l'unica via di uscita per
mettersi al sicuro dalle pressanti minacce. Non è di certo una buona cosa per quel che
riguarda la sicurezza mondiale e, soprattutto, non si può certo parlare di successo
diplomatico.
Poi è stata la volta dell'Iran. Minacce piu' o meno velate e aperto sostegno agli
studenti in lotta contro il governo fondamentalista. Degli studenti non si parla quasi
piu', e il governo è saldamente al suo posto. Nessun successo per Bush, neppure su questo
fronte.
Infine - è cronaca di questi giorni - la controversa "Road Map" è ormai un
miraggio lontano. Israeliani e Palestinesi si ammazzano l'un l'altro quanto e piu' di
prima. Con la differenza che adesso si e' aggiunto il rischio di una guerra intestina tra
fazioni palestinesi. Non si possono fare sconti: è un altro fallimento.
Cosi' , in conclusione, se l'11 settembre è stata la Pearl Harbour del ventunesimo
secolo, non si puo' certo dire che la reazione americana abbia i connotati di una marcia
trionfale. Contro il nemico invisibile, forse, ci vorrebbe una buona dose di discrezione e
di lavoro di fino. E, per i neoconservatori piu' duri e puri, anche una salutare iniezione
di umiltà.
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