dalla postfazione
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Manzoni ci ricorda anzitutto che non si finisce mai di dire addio; laddio, a chi
amiamo e a ciò che amiamo, è il movimento fondamentale del nostro stare confitti nel
tempo: innamorati dinfinito e schiacciati dallimmensa finitudine. Ma
laddio, separandoci, ci abbraccia: svuotandoci ci inchioda alla pienezza del vero:
straziando una parte di noi preserva nel pozzo ulcerato della nostra anima il seme del
coraggio, il bisogno di resistere, la forza di credere ancora, malgrado tutto, alla vita.
Per questo, ogni addio è "una scoperta essenziale": un affondo nella sostanza
nuda e palpitante dellessere. Per questo la poesia non può non piegarsi su quella
soglia, su quellattimo di fuoco in cui un destino si compie lacerandosi,
frantumandosi, ardendo.
Non solo le
vite individuali sono risucchiate da questa soglia: la nostra stessa civiltà è esposta
senza tregua al vento che soffia dallabisso del Grande Nulla. Dopo lOlocausto,
infiniti "tagli" si sono aggiunti e continuano ad aggiungersi al corpo
"malandato", martoriato del mondo. Le "rughe" della generazione in cui
Manzoni si riconosce sono il frutto doloroso di questo continuo squamarsi del senso, di
questo incessante sfarsi nella polvere delle Città dellAnima, del volto antico di
Dio. Eppure è solo accettando di confrontarsi fino allosso, fino a piagarsi, con
questo "continente accartocciato" che la parola dei poeti può eludere il
rischio dincistarsi nelle trappole del pensiero, nella "rete" sterile
delle idee. La poesia non può essere che "energia dellintero", battaglia
senza requie per la bellezza, coraggio "dello stupore e delleccesso",
rottura degli argini dello stile, anche velocità di colpi ben assestati "quando la
delicatezza / viene minacciata dalla volgarità / o dal ribrezzo". Insufflata da
questo calore, percorsa dai sussulti cardiaci di questo pathos la scrittura di Manzoni si
curva su di sé, sul proprio tormentoso bisogno di chiarezza, solo per trascendersi: per
liberarsi confessandosi; per schiudersi all appello di una "missione"
damore e di giustizia (missione, insieme, "di giudice, difensore / testimone e
imputato"); per cauterizzare, enumerandole, "tutte le ferite" di cui si
fregia il tempo; per opporre al lungo addio novecentesco dellumano a se stesso
larrivederci di un sogno ancora possibile nella terra della poesia: la
"reciproca comunanza" tra i vivi e i morti, tra i sommersi e i salvati, tra
lessere e il nulla, o fra il riso angelico della gioia e il "tremito
incerto" delle lacrime.
di Paolo
Lagazzi |
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