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Usa: in un testo il progetto per sottomettere il mondo


di Marino Ruzzenenti

Missione Oggi


La "strana" guerra contro l’Iraq si è ufficialmente conclusa, lasciando però molti problemi aperti, sia sul futuro di quel paese e dell’occupazione anglo-americana nell’area, sia sul senso di quel conflitto.
Come noto, le motivazioni ufficiali con grande disinvoltura sono rapidamente cambiate: dal non rispetto delle risoluzioni Onu, alla presenza accertata dall’intelligence Usa di armi di istruzione di massa, alla necessità di abbattere la dittatura sanguinaria di Saddam Hussein e ripristinare la democrazia. Un cambiamento sostanziale obbligato dal fatto che gli argomenti agitati come verità assolute dalla propaganda americana si andavano via via sgretolando.
Tuttavia la guerra è stata scatenata e il governo italiano, seguito dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione ad esso asserviti, si è accodato alle "verità" mutanti e accomodanti del comandante in capo d’Oltreoceano.
Per capire allora il senso vero di questa guerra, come della precedente in Afghanistan, può essere utile scorrere i documenti che pubblichiamo in questo Dossier. Anche perché ci aiutano a chiarire come la strategia neo-imperialista dell’attuale Amministrazione Bush venga da molto lontano e prescinda del tutto dalla tragedia delle Torri Gemelle. Quell’evento ha funzionato come acceleratore di un processo già avviato e di lungo periodo: ha creato le condizioni – politiche e di consenso – perché si cominciasse ad attuare subito un disegno di dominio americano sul mondo basato su una schiacciante preponderanza della forza militare e sulla capacità di colpire prima che una potenziale minaccia si concretizzi.
In questo senso, Bin Laden e Saddam Hussein (forse non a caso ambedue collegati in passato ai servizi statunitensi e ambedue finora uccel di bosco) hanno funzionato perfettamente da specchietto per le allodole, agendo da catalizzatori di un vasto movimento delle coscienze nordamericane protese a rivendicare la legittimità e la necessità di una politica aggressiva dell’America per un nuovo ordine mondiale modellato sui propri interessi e sui propri valori.
Come per i falchi della Roma repubblicana, il saccheggio della città da parte dei Galli nel 390 a. C. rappresentò un’ottima ragione per avviare quelle infinite "guerre preventive" volte a spingere il limes più lontano possibile dalle mura di Romolo fino alla costruzione dell’impero universale, così l’11 settembre del 2001 diventa per i consiglieri di Bush, i fanatici dell’imperialismo americano del Proiect for a New American Century, l’insperata occasione per dar corso ai loro progetti effettivamente azzardati e antistorici, come loro stessi riconoscevano ("Una tale politica reaganiana di forza militare e chiarezza morale può non essere di moda oggi").
È questa la riedizione postmoderna della strategia imperiale dell’antica Roma: si vis pacem para bellum, se vuoi la pace, prepara la guerra.


E' l'intero pianeta ad essere a rischio
Che cosa può significare per il futuro dell’umanità il dispiegarsi di una simile strategia, da parte degli Usa, è purtroppo facile da prevedersi. Le conseguenze possono essere terribili, non solo per la sostanziale inefficacia anche rispetto agli obiettivi che vengono proclamati, ma per le reazioni disperate, i grumi di violenza cieca, la capacità distruttiva che provocheranno.
L’inefficacia è già sotto gli occhi di chi vuol osservare la situazione, rinunciando al fanatismo oggi dilagante nel mondo occidentale tanto se non più che in alcuni settori dell’islamismo fondamentalista.
Dopo le due recenti guerre agli Stati canaglia santuari del terrorismo, quest’ultimo è più vitale che mai, anzi mostra di aver ampliato l’area del proselitismo.
Non solo. Tutte le guerre condotte dall’Occidente, dopo la fine del bipolarismo, nel segno dei valori occidentali, dell’intervento umanitario, della democrazia, si sono rivelate un sostanziale fallimento. Clamoroso, in questo senso, l’intervento in Somalia, terminato con una poco onorevole fuga alla chetichella delle armate pacificatrici (Usa e Italia). Ma se andiamo a vedere anche l’eredità lasciata in Bosnia o la situazione in Kossovo, non si può dire che gli obiettivi dichiarati di convivenza pacifica tra gruppi nazionali diversi, di democrazia e rispetto delle minoranze si siano a tutt’oggi concretizzati. Per non parlare della vicenda afghana, vittoriosa "guerra lampo" che dopo oltre un anno continua feroce, con un governo fantoccio a Kabul privo di ogni legittimità se non la tutela americana, capace a malapena di controllare l’area della capitale. E, per le libere elezioni, nessuno è in grado di ipotizzare una data futura. La situazione dell’Iraq è sotto gli occhi di tutti.
Ma ciò che deve preoccupare è che l’imposizione del nuovo ordine per il secolo americano ha costi elevatissimi e l’Occidente corre il rischio, come sostiene uno studioso americano, Jeremy Rifkin, di rivivere l’ineluttabile processo della caduta dell’impero romano: rinunciare all’impero non era possibile e, in qualche modo, si era costretti a perpetuarlo, pur sapendo che i costi del suo mantenimento (la difesa degli immessi confini) erano economicamente insostenibili e avrebbero condotto alla catastrofe. Ecco, l’attuale Amministrazione Bush, prigioniera del suo fanatismo, sembra essere posseduta da un’analoga sindrome distruttiva ed autodistruttiva.
Il dramma è che, in questo caso, ad essere a rischio è il pianeta, la sorte dell’umanità intera. Una ragione non piccola per contrastare in ogni modo il Progetto per un nuovo secolo americano.

 

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