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Società

Un appello per far cessare i massacri del Congo

 

L’appello è promosso dal Coordinamento “Anch’io a Kisangani”, di cui fanno parte anche molti organismi missionari che lavorano nell’area orientale del Congo.

 Continua nell’area orientale della Repubblica Democratica del Congo una situazione insostenibile per le popolazioni inermi. In seguito agli accordi firmati a Pretoria tra Congo e Rwanda (30 luglio 2002) e a Luanda tra Congo e Uganda (6 settembre 2002), Kigali e Kampala hanno ritirato i rispettivi eserciti occupanti. Il terreno è ora in balia dei gruppi armati congolesi, che prima (ma solo prima?) erano sostenuti dai due paesi occupanti: Rdc/Goma, legato al Rwanda; Rdc/Bunia, legato all’Uganda; Mlc, legato prima all’Uganda e poi al Rwanda. Inoltre ci sono i May-May, milizie nazionaliste congolesi, legate al governo di Kinshasa.

Non si tratta di gruppi inconsistenti: l’Onu valutava che l’Uganda e il Rwanda avessero rispettivamente 10mila e 20mila militari in Congo, e attribuiva ai principali movimenti di ribelli queste cifre: Rdc/Goma 15-20mila armati (il movimento afferma di averne ora 40mila!), Mlc 12-15mila; i ribelli rwandesi presenti in Congo (interahamwe e ex Far, forze armate rwandesi del precedente governo) 10-12mila. Consistenti, anche se meno organizzate, le forze dei May-May.

Il Rapporto dell’Onu sul saccheggio del Congo (12 aprile 2001) documenta che sia gli eserciti occupanti che le milizie ribelli si sono in questi anni finanziate attraverso lo sfruttamento delle risorse di quest’area del Congo: oro, diamanti e soprattutto coltan. “Siamo in guerra e abbiamo bisogno di foraggiare i nostri soldati. I diamanti ci forniscono 200 mila dollari al mese, il coltan ci assicura ogni mese un milione di dollari”, spiega Onusumba, presidente dell’Rcd/Goma. “Tutti guadagnano, occupanti e ribelli – conclude il rapporto dell’Onu – solo il popolo congolese è perdente, in questo gigantesco affare”.

Al caos politico creato nei 32 anni di dittatura di Mobutu, in cui tutte le istituzioni dello stato sono state fatte “marcire” e la corruzione si è generalizzata, si è aggiunta l’anarchia democratica degli anni di guerriglia per la conquista del potere e, poi, la devastante occupazione dell’Uganda e del Rwanda, congiunta con l’opera di morte e di rapina dei movimenti armati ribelli, nel silenzio complice delle Grandi Potenze, alle cui intese economiche fanno molto comodo il frazionamento e la debolezza del Congo. Risultato: due milioni e mezzo di vittime dall’agosto 1998 ad oggi, più altrettanti profughi e sfollati, in fuga dai loro villaggi e anche dal proprio paese nella ricerca disperata di sicurezza o almeno di sopravvivenza.

In queste ultime settimane, la situazione si è ulteriormente aggravata. Il vuoto di potere, creatosi con il ritiro degli eserciti occupanti, lascia via libera alle incursioni degli opposti movimenti armati interni, che assaltano città e villaggi, ammazzano, distruggono: nella sola Uvira sono state uccise 453 persone. Probabilmente, la prospettiva di ciascun gruppo è di presentarsi più forte al tavolo degli accordi con il governo centrale. Le condizioni poste da Jean Pierre Bemba, capo del Mlc, sono significative: una delle quattro vicepresidenze più i ministeri delle Finanze, delle Miniere e della Giustizia!

Anche se le trattative in corso porteranno ad un accordo di governo, temiamo sinceramente che non saranno in grado di assicurare pace e sicurezza nell’area orientale del Congo. Troppi problemi sono insoluti, troppo odio è stato seminato, troppi interessi sono in gioco, troppe armi sono in circolazione, troppe figure losche tirano le fila.

Gli attuali 1500 Caschi blu della Monuc (Onu), che oltre tutto non hanno un mandato per difendere la popolazione civile, non sono sufficienti. In base alla proposta presentata dallo stesso Kofi Annan, che parlava di 8700 uomini, il contingente dovrebbe essere elevato. Ma non basta: occorre abbiano anche il mandato di difendere la popolazione civile e di interposizione tra le diverse forze in campo: fino a quando le istituzioni democratiche non saranno ristabilite. Ormai è intollerabile il numero delle vittime e il carico di sofferenza della gente. Questo è il senso dell’appello, che invitiamo a sottoscrivere.

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