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Modernizzazione ecologica dell’economia,

per contrastarne il declino.

 

 

Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute e notissimo economista ecologista, sempre prudente nel riconoscere segnali di inversione di tendenza dichiarava in una intervista di alcuni giorni or sono al Corriere della Sera " vedo i primi segni concreti di eco-economia". Certo siamo agli albori, ma oggi nessuno si azzarderebbe a dire che l’ecologia non sia un fattore strutturale con il quale l’economia è costretta a fare i conti. Così come è innegabile che parlare di modernizzazione generica dei sistemi produttivi ed industriali significa pochissimo se non si aggettiva precisamente il tipo di modernizzazione alla quale si pensa.

Il liberismo per ora dominante ma non vincente – nel senso che non può vincere le sfide grandi che ha di fronte, come la povertà, la estensione della equità e della giustizia sociale, l’accesso alle sempre più limitate risorse naturali- affidandosi solo al mercato non dimostra alcuna capacità innovativa.

Una riforma dello sviluppo che abbia al centro la modernizzazione ecologica invece

guarda al mondo e vede le contraddizioni della globalizzazione ingiusta che stiamo vivendo, si misura con le sfide dell’epoca moderna, non mette la testa sotto la sabbia rispetto ai cambiamenti climatici che così pesantemente si abbattono sulle economie mondiali o di fronte al paradigma energetico che segnerà il passaggio dall’epoca del petrolio ad un’altra. Finalmente si chiarisce un equivoco: per decenni molti hanno pensato e scritto che gli ambientalisti guardavano indietro e proponevano una visione del mondo arretrata e non moderna, oggi è chiaro che l’unico sviluppo possibile è quello che fa i conti e non nega le contraddizioni ecologiche, le governa, le indirizza, le risolve. Diverse imprese, le forze sindacali e politiche, alcuni economisti parlano della qualità ambientale come elemento centrale di competitività. E’ un passo avanti che va riconosciuto anche se la strada sarà lunga e irta di ostacoli.

Gli argomenti a favore della modernizzazione ecologica hanno dalla loro parte la forza dei fatti e delle cifre, due cose rispetto alle quali una moderna sinistra può solo affrontare il confronto.

Dal 1980 al 2000 le emissioni di carbonio in atmosfera sono passate da 4,6 a 6,1 miliardi di tonnellate (ovvio dunque che i cambiamenti climatici, aggravandosi l’effetto serra, si siano intensificati), abbiamo perso 94 milioni di ettari di foreste,

11.000 specie sono in estinzione, la popolazione è quadruplicata nel secolo scorso

passando da 1,6 a 6,1 miliardi ma due miliardi circa vivono sotto la soglia minima di povertà e un miliardo soffre quotidianamente la fame.

Due questioni si incrociano con grande evidenza per la prima volta: il tipo di sviluppo che abbiamo nelle aree ricche distrugge l’ambiente e in più non si può estendere ai paesi in via di sviluppo…una bella contraddizione per coloro che pensavano che tutto si potesse risolvere aumentando semplicemente la produzione!

L’esempio più attuale in questi giorni è quello del petrolio. Un americano ne consuma 3,5 tonnellate, un europeo 1,5 e un abitante dei paesi in via di sviluppo solo 0,25. Se si estendessero i consumi europei agli abitanti dei paesi in via di sviluppo servirebbero altre 6,2 tonnellate di petrolio, il che significherebbe triplicare i consumi attuali e le conseguenti emissioni. La conclusione è semplice, il modello di produzione e sviluppo ad alto contenuto di petrolio non è sostenibile per i Paesi ricchi e non si può estendere a quelli poveri. Per quel che riguarda l’energia la sfida si vince sulle fonti rinnovabili e in parte sull’idrogeno, sapendo che esso non esiste in natura, che va prodotto e che i tempi non sono brevissimi.

Questi dati spesso non entrano nelle relazioni dei convegni economici eppure sovrastano le economie di tutti i Paesi del Mondo e dunque anche la nostra.

E’ importante che i Ds abbiano deciso un convegno sul declino dell’economia che comincia a fare i conti anche con questi fattori e noi di Sinistra Ecologista fattivamente parteciperemo alla discussione perché riteniamo di avere analisi e proposte che potrebbero risultare utilissime.

Infine due brevi accenni a questioni attuali nel nostro paese: la prima riguarda il sistema fiscale, quella combinazione di tasse e incentivi o sussidi che vanno profondamente ripensati perché sono ancora lo specchio di un’altra epoca, quando il capitale naturale non era ancora una risorsa scarsa com’è adesso. Il sistema fiscale deve assumere e riflettere i costi ambientali delle produzioni e contribuire a regolare i mercati attraverso giusti segnali. Per esempio definire il costo sociale e ambientale che comporta il bruciare tante energie fossili in termini di inquinamento, di malattie, di innalzamento del mare ed erosione delle coste, di cambiamenti climatici e immettere questi costi nei bilanci delle imprese – senza esternalizzarli- sarebbe un primo passo verso una grande innovazione e introdurrebbe un nuovo principio di responsabilità e una nuova contabilità. Si tratta, modulando bene la pressione, di spostare tasse dal lavoro ai consumi di risorse e di incentivare fortemente le produzioni a basso consumo di energia.

La seconda attiene i settori industriali che rischiano oggi un declino serio,

penso all’auto, alla chimica, all’edilizia e anche delle scelte infrastrutturali primarie che dovrebbero accompagnare l’idea che una coalizione ha dello sviluppo del Paese.

Su entrambi i settori il Governo delle destre mostra la corda. Di politiche industriali non si vede ombra, sul fronte delle infrastrutture si favoleggia di opere grandi a fronte di pochissime risorse e sulla ricerca si taglia a man bassa, mentre da essa deriva la possibilità di innovare prodotti, cicli, consumi.

Che la mobilità debba cambiare radicalmente è noto da tempo, ma il 20% di merci dalla gomma al ferro e al cabotaggio è ancora un obiettivo lontano e con le scelte di questo Governo non lo avvicineremo neppure di pochi punti, così come va potenziata la ricerca di nuovi automezzi e di nuovi combustibili. La mancata innovazione dei prodotti Fiat negli ultimi dieci anni non è estranea alla crisi che ha colpito questo gruppo imprenditoriale, in pesante ritardo rispetto ad altri gruppi già presenti sul mercato con prodotti innovativi.

Altrettanto radicale è la svolta da imprimere sul fronte delle infrastrutture, gli ambientalisti non dicono no alle infrastrutture utili, ma la nostra agenda segna altre priorità: riassetto idrogeologico, reti idriche e depurative, ferrovie al sud,

nuovi trasporti urbani, manutenzione del territorio e del patrimonio edilizio.

Credo che il confronto di questi giorni sarà utile a noi e all’Ulivo per precisare scelte e programmi futuri.

FULVIA BANDOLI

Portavoce nazionale Sinistra Ecologista

 

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