La sfida della qualità ambientale
"Reagire al declino economico dellItalia" Residence di Ripetta 28 Febbraio 2003 Intervento di Fulvia Bandoli al Convegno Nazionale DS
In questo inizio di secolo balza in evidenza che la scarsità e la limitatezza delle risorse naturali sarà un dato permanente e non transitorio: linizio della flessione della curva del petrolio, il peggioramento della qualità dellaria e dellacqua, i problemi connessi alluso del suolo, i profondi cambiamenti climatici.Questi limiti obbligano al confronto, oramai non si può più nascondere la testa sotto la sabbia.Un altro dato certo riguarda il fatto il modello di sviluppo dei Paesi ricchi non si può estendere ai Paesi in via di sviluppo perché lecosistema non reggerebbe lurto. E così che la cultura ecologista e le grandi contraddizioni ambientali entrano di forza sui tavoli e nelle agende dei Governi, cessano di essere questioni parziali e si chiarisce anche un altro equivoco: mentre per decenni si è scritto e pensato che lecologia fosse la teorizzazione di un ritorno indietro alla natura primitiva, oggi è chiaro per molti che si tratta invece di una concezione dello sviluppo moderna, perché possibile, più equa e più giusta, migliore nel dare risposta ai molteplici bisogni degli esseri umani che non sono mai stati soltanto consumatori. Più moderna di altre perché parla e vede il mondo nel suo insieme e non solo alcune parti di esso. Non a caso dunque si parla sempre più insistentemente, nella sinistra europea, di modernizzazione ecologica o di eco-economia. E ci fa piacere che anche in questo Convegno questi temi trovino uno spazio. Concordo sul fatto che molte delle ragioni del declino economico del nostro Paese risiedono nella mancanza di politiche industriali di settore, nella particolare dimensione delle imprese e nei loro assetti societari, nella eccessiva e strangolante finanziarizzazione delleconomia e in altre cose ancora che non richiamo. Ma una delle ragioni di fondo sulla quale andrei più a fondo con lanalisi è la bassissima qualità del nostro sistema economico, e la bassa competitività che ne deriva, la sua strutturale incapacità ad innovare merci e cicli produttivi verso la durevolezza, leccessivo utilizzo di energia e acqua per unità di prodotto, lo scarso impegno sulla ricerca, lassoluta assenza nel settore dei brevetti. Sono daccordo che dobbiamo cercare un progetto forte quanto lo fu quello del risanamento e dellentrata in Europa. Io penso che la modernizzazione ecologica delleconomia sia questo progetto, abbia questa forza e parli a molti soggetti sociali ed economici oltre che agli altri governi del mondo e dEuropa. La crisi della Fiat è anche una crisi, come non vederlo, dovuta alla sfida, persa clamorosamente, con linnovazione ecologica dei modelli di auto, con la ricerca sui nuovi carburanti, con la necessità di stare in una Europa che si orienta sempre più sulla intermodalità nel trasporto di merci e persone. La Fiat ha scelto auto più immobiliari più assicurazioni, non così altre case automobilistiche come la General Motors, la Volkswagen, la Renault. Dirà pur qualcosa il fatto che nei dieci anni che ci stanno alle spalle gli investimenti Fiat sullinnovazione siano stati solo un quinto di quelli della Volkswagen?! Lo stesso vale per la chimica italiana, troppo pesante per lambiente e per la salute dei lavoratori, arretrata anchessa rispetto a ciò che può essere e dovrebbe essere la chimica del nuovo secolo. Non è dunque in discussione se lItalia debba avere o no una industria chimica, ma sicuramente quella di ora è insostenibile, è destinata a chiudere e dunque a penalizzare pesantemente loccupazione. Si fa dunque sempre più stretto anche il nesso tra modernizzazione ecologica e occupazione e cresce per fortuna anche nei sindacati, anche se troppo lentamente, questa consapevolezza. Come diceva Andriani le imprese con bassi consumi energetici o idrici, con cicli produttivi nuovi e più puliti si sono accorte, bontà loro, che stanno meglio sul mercato perché la loro competitività si accresce. Insomma cè un altro fattore dentro il declino delleconomia italiana, un tarlo che comincia a toccare anche settori allavanguardia come il turismo o i servizi alla persona o il tessile abbigliamento. Il tarlo è la poca qualità delle merci, la poca durevolezza delle stesse, leccessivo consumo di energia e acqua per unità di prodotto, la quasi totale incapacità a recuperare materia durante e dopo la lavorazione. Molto sensibile a risparmiare sul costo del lavoro, sui controlli ambientali, sulla salute dei lavoratori e sui diritti, limprenditoria italiana ha, per ora e tranne rare eccezioni, perso la sfida per la qualità ambientale che si sta affermando in Europa come uno dei più potenti fattori di competitività durevole. Per la sinistra la sfida della qualità è dunque tra le più importanti e caratterizzanti, essa incrocia anche nostri valori e principi di fondo. Va assunta senza esitazioni. Il modello neoliberista trascura qualità sociale e ambientale e non è un caso che gli attacchi più duri da parte di questo Governo si siano concentrati sullo stato sociale e sulle politiche che i governi dellUlivo avevano messo in atto sui temi della qualità ambientale. Noi la manutenzione in edilizia e gli sgravi fiscali, loro il condono dellabusivismo; noi la valorizzazione dei beni culturali e ambientali ad alimentare un turismo che diventasse sempre più di qualità, loro la svendita dei beni demaniali dello stato, delle coste e degli arenili per fare cassa; noi politiche trasportistiche volte allaumento del trasporto su ferro e per mare, loro incrementano ancora le merci che viaggiano su gomma; noi la creazione di un sistema di aziende e di una legislazione europea sui rifiuti, loro il ritorno allecomafia; sono di oggi i dati sui controlli ambientali che parlano di mezza Italia fuori legge per quel che attiene scarichi, fogne, reti idriche, cave etc ; noi gli incentivi alle fonti rinnovabili, loro il decreto sblocca centrali e potrei continuare. Ma con quali strumenti e con quali politiche si possono condizionare il mercato e le imprese, piegarle verso la qualità, linnovazione di processo e di prodotto? Io ne citerò solo alcuni dei molti possibili. Il primo riguarda la fiscalità ecologica e il complesso sistema di incentivi e disincentivi. Questi ultimi possono virtuosi (come lo furono per le manutenzioni edilizie) e cioè stimolare la qualità e la sostenibilità ambientale oppure possono essere meramente assistenziali o anche perversi e ottenere lesatto contrario dellobiettivo che si proponevano. Ho presente il settore agricolo dove per anni si sono dati contributi più sulla quantità che sulla qualità quando è chiarissimo che lunica strada per lagricoltura italiana è quella di non essere più una agricoltura sostenuta ma sostenibile! Sulla fiscalità ecologica il discorso sarebbe lungo e complesso, voglio solo richiamarvi al fatto che quasi la metà della riforma fiscale tedesca si fonda sullo spostamento di pressione fiscale dai redditi sulle persone fisiche a quello sui consumi delle materie prime non rinnovabili. Il secondo riguarda le infrastrutture primarie e fondamentali anche se qui sento spesso un equivoco riproporsi. Riassetto idrogeologico, reti idriche e fognanti, merci su ferro e ferro nelle città, recupero dei rifiuti e trattamento, bonifiche, sono grandi opere pubbliche, infrastrutture necessarie a creare un ambiente favorevole alla creazione di imprese. Senza il superamento di questo gap non riusciremo a far crescere neppure la qualità e dunque la competitività e questo vale in particolare per il Mezzogiorno. Ma le grandi opere di cui parlano Berlusconi e Lunardi non sono queste, dobbiamo saperlo e quindi anche le nostre priorità vanno ridefinite. Il terzo riguarda il credito finalizzato allinnovazione, le strade del credito in Italia sono infinite, ma pochissime incrociano le imprese innovative o i progetti di ricerca o di formazione. Ancora oggi è più facile farsi finanziare progetti tecnologicamente arretrati, purché la banca conosca il proprietario e vi siano garanzie a fronte, piuttosto che riuscire ad ottenere un credito congruo su progetti di risparmio energetico o sulla sperimentazione di fonti rinnovabili. Eppure abbiamo poco tempo davanti per arrivare ad un nettissimo aumento di energia da fonti rinnovabili (dobbiamo arrivare vicini al 20-25%) e anche sullidrogeno non facciamo troppa demagogia, esso non esiste in natura, va prodotto e avremo di fronte venti trenta anni di transizione prima di passare dallera del petrolio ad unaltra. Nel frattempo dobbiamo respirare, produrre, dare energia a chi non lha, diminuire le emissioni drasticamente in atmosfera. E un cerchio difficilissimo da far quadrare, è una delle sfide più serie quella che si gioca sui temi energetici e noi, come sinistra, dobbiamo accettarla in tutta la sua portata. Penso si sia capito, pur nello schematismo e nella brevità ciò che intendevo mettere alla vostra attenzione: la sinistra italiana ha bisogno di rinnovarsi e la modernizzazione ecologica delleconomia è una cultura forte, fatta di progetti e programmi forti. Io non credo che, senza questo di più che ci viene da un pensiero ecologista rigoroso e non fondamentalista, si possano trovare risposte efficaci per reagire e invertire la tendenza al declino della nostra economia. |
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