Il sangue di Giuda di Gian Ruggero Manzoni
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Aveva lunghi capelli neri ben curati, ai piedi portava delle scarpette di vernice bianca e, al collo, un fazzoletto alla sbarazzina come lo mettono in tante dalle parti del Quartiere latino. La chiamavano Jolanda, ma il suo nome era Maria. Non era bellissima, ma si faceva apprezzare. Oggi la potrei definire una regina del come sapersi arrangiare, seppure si dibattesse sempre nellangoscia del domani. E anche, nel vero, si può affermare che era una della malavita, sebbene non avesse mai rubato o ucciso per denaro. Le piaceva andare alle corse dei cavalli, bere liquore allanice, fare lalba, non lavorare e leggere le massime di Carro un suo amico fantino con velleità letterarie. Il solo codice che praticava era quello della sincerità. A nientaltro credeva, se non alla sincerità. Quando un bellitaliano o, meglio, un siciliano di Catania, un pittore di ritratti, lavvicinò per tentare di portarsela a letto. Lei, inizialmente, stette al gioco poi, non del tutto convinta del carattere del giovinastro, sirrigidì e lo mise alla prova. "Portami ciò che adesso credi che per te sia la cosa più bella", gli disse, "e poi mi avrai ma attento non prendermi in giro perché, se no, divento ferocissima io non sopporto la bugia e il tradimento". Al che il catanese corse nel suo studio, entrò in bagno, prese dalla mensola un pettine e lo portò a Jolanda. "E questo cosè?!", lei cacciò a bocca aperta, " mi pare daverti detto di non scherzare ". "Io non scherzo mai", lui disse con calma, " anche se a volte potrebbe sembrare. Questa è per me la cosa che adesso possiedo di più bello mica mi hai domandato la cosa che tu reputi più bella, ma ciò che adesso io reputo più bello ". Jolanda, pensierosa, restò in silenzio per qualche minuto poi rimandò: "Il tuo ragionamento non fa una grinza è logico se il pettine è per te la cosa più bella che hai non posso che accettarlo vieni andiamo in albergo ho voglia di te". La relazione andò avanti per alcuni mesi, poi, la donna, di nuovo presa da dubbi sulla sincerità e sulla personalità del pittore gli domandò: "Ora che mi conosci ti chiedo di portarmi la cosa che credi per me sia la più bella ma attento, non prendermi in giro perché potrei arrivare anche ad uccidere se mi dovessi sentire tradita ". Litaliano corse veloce allo studio, entrò in bagno, prese dalla mensola il rasoio, lo portò a Jolanda e davanti a lei lo aprì. La donna alla vista della lama affilata, rimase sconcertata e gridò: "Ma sei matto?! Cosa ti fa pensare che questo arnese sia per me la cosa più bella?! vattene subito tu sei un bugiardo non voglio più vederti!". Il pittore, richiuso il rasoio, consegnatolo a Jolanda, carezzatole i lunghi capelli se ne andò senza voltarsi. Serrata nella sua stanza dalbergo Jolanda rifletté per giorni e notti sulla sincerità su quel concetto sul tradimento e sulla bugia, sugli oggetti che il pittore, in nome del bello, le aveva portato, infine comprese. Davanti allo specchio per ore si pettinò i lunghi capelli, quindi, messo il vestito più carino che aveva, stesasi sul letto, aperto il rasoio si tagliò le vene. Sul tavolinetto della sua stanza aveva lasciato un biglietto con sopra scritto MI SENTO COME GIUDA E DI GIUDA HO VERSATO IL SANGUE. La seppellirono un mercoledì mattina. Tra i pochi che seguirono la bara cera anche il fantino Carro il quale, sulla fossa, diede lettura di una poesia composta per loccasione. Del pittore non se ne seppe più niente, Pare fosse tornato in Sicilia dove aveva smesso di dipingere per aprire una coltelleria. |
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