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Prima dell'agosto del 2000 non conoscevo Ivan
Ray. Sì, l'avevo incontrato in parlatorio alcune volte in occasione delle mie visite con
Richard, ma ci eravamo scambiati appena un "ciao" di cortesia. Non conoscevo
neanche il suo nome. Sapevo soltanto che era un amico di Richard, forse l'unico suo amico
all'interno del braccio della morte. Poi, qualche tempo dopo l'esecuzione di Richard,
ricevetti una lettera dal Texas. Avevo deciso che non avrei avuto più corrispondenti nel
braccio della morte del Texas, perché così a Richard sarebbe piaciuto, ma Ivan Ray mi
fece cambiare idea. In quella lettera mi raccontò chi era, mi parlò della sua amicizia
con Richard, mi chiese se - per ricordarlo insieme (anche a lui mancava molto) - ero
disposta a corrispondere con lui. "Cosa ne penserebbe Richard?", mi domandai e
gli domandai. "Credo che ne sarebbe felice", fu la sua risposta. Io non seppi
rispondere. "Forse sì", mi dissi. Nient'altro. E dopo poco iniziò la mia
corrispondenza con Ivan Ray, cui hanno fatto seguito negli anni seguenti numerose visite,
le ultime nel marzo di quest'anno.
Io e Ivan Ray siamo nati nello stesso anno, il 1965, a pochi mesi di distanza. Ivan Ray è
nato a Denison, Texas, la stessa città dove nacque il 34mo presidente americano, Dwight
D. Eisenhower, morto a quasi 80 anni in seguito ad una lunga malattia
Ivan Ray non
arriverà a 80 anni
Se lo Stato porterà a compimento i suoi piani, la sua vita
avrà fine il 4 dicembre 2003.
I genitori di Ivan Ray sono morti entrambi. La mamma gli manca molto. Era un'indiana della
tribù Cherokee. Ne parla con molto orgoglio, così come dei nonni indiani, che gli hanno
insegnato tutto ciò che sa sulla natura, con la quale Ivan Ray ha sempre avuto un
bellissimo rapporto fin da bambino, fatto di amore e rispetto. Ha due sorelle e un
fratello con i quali non ha più nessun contatto. Del papà, che era di origine irlandese,
non parla molto, ma quando ne parla il suo sguardo sembra vedere qualcosa all'orizzonte
che io non so vedere.
E' un ragazzo semplice, Ivan Ray, uno come tanti all'apparenza, dotato però di
un'intelligenza molto acuta e di uno spiccato senso dell'humour. Quando vado a trovarlo
ridiamo molto e le ore di visita passano in fretta. Parliamo anche dei mali dell'uomo,
della guerra, dell'avidità, dell'abuso dei diritti umani, tutte cose che lo addolorano e
che lo fanno sentire impotente, rinchiuso in una cella
. E' una sensazione che
conosco bene quella dell'impotenza
. Io mi sento impotente davanti a questa barbarie
della pena di morte, ma sono in una posizione privilegiata rispetto alla sua, perché
almeno io sono fuori e qualcosa la posso fare. Ci provo, almeno
Parliamo spesso
anche di animali. A lui, come a me, piacciono i cani e mi dà consigli su come allevare la
mia cagnolina, di cui ha voluto molte foto. Ivan Ray è particolarmente colto, ma non gli
piace sfoggiare erudizione. Ama moltissimo leggere, di tutto, e gli piace essere informato
su tutto. E' molto critico nei confronti della politica estera ed interna del suo Paese.
Ci si sente a proprio agio con lui. Non sembra il mostro descritto dalle autorità
carcerarie. Forse davvero non lo è.
Si trova in carcere da quasi 14 anni per un crimine che ha sempre sostenuto di non aver
commesso. E' stato condannato per omicidio e rapina unicamente sulla base della
testimonianza di un informatore della polizia, che successivamente ha ritrattato la sua
dichiarazione iniziale. Il suo coimputato è stato condannato all'ergastolo. Ivan Ray
sostiene di poter provare la sua innocenza, ma che questa possibilità gli è stata fino
ad ora negata. Come tutti i condannati a morte indigenti, anche lui non ha potuto
incaricare della sua difesa un legale privato, a nessun grado di giudizio, ed è sempre
stato seguito da legali d'ufficio.
Quando penso ad un condannato a morte, che sia un mio corrispondente o meno, il mio
pensiero immediatamente vola alla vittima e ai suoi famigliari. Cerco di focalizzarmi sul
loro mondo interiore, cerco di intuire cosa provano e come si sentono e il loro dolore
diventa il mio. So cosa si prova a perdere una persona cara in circostanze tragiche.
Purtroppo lo so. E ho il massimo rispetto per questo dolore. Non giustifico mai un atto
orrendo come l'omicidio. Ma al tempo stesso cerco di vedere anche cosa c'è dentro al
condannato, cerco di capire anche lui.
Non so se Ivan Ray sia davvero innocente, come sostiene. E, francamente, non mi importa.
Se anche fosse colpevole, la persona che conosco io non è più la stessa che allora
commise quell'omicidio. L'Ivan Ray con il quale corrispondo e con il quale ho il piacere
di trascorrere un po' di tempo ogni tanto in un orrendo parlatorio che entrambi cerchiamo
di non vedere in quelle poche ore di cui disponiamo, è una persona con la quale è
piacevole stare, una persona dalla quale prendo, perché in grado di dare tanto, e alla
quale do tutto ciò che posso. Soprattutto, è una persona, un essere umano. Anche se io,
in tutta onestà, ne dubito, forse fu davvero lui a commettere quell'omicidio
ma
resta pur sempre un essere umano, un uomo che le regole dure del carcere, soprattutto
l'isolamento continuo, stanno distruggendo fisicamente, ma che cerca con tutto sé stesso
di restare lucido a livello mentale.
Non appena ho saputo di questa data di esecuzione, considerata "seria" (è un
termine che si usa per indicare l'altissima probabilità che non venga concessa alcuna
sospensione), ho scritto ad Ivan Ray. Ancora non ho avuto una sua risposta. Forse non ha
voglia di scrivere
come posso biasimarlo? Posso immaginare cosa sta passando nella
sua mente in questi giorni
Ma volevo dirgli di non perdere la speranza
si
dice sempre in questi casi
parole al vento? No, la speranza aiuta. Se non si spera,
si muore prima. Ho cercato di rassicurarlo. Gli ho detto che gli voglio bene, che spero di
rivederlo il prossimo anno. Gli ho detto che sono con lui con lo spirito. Che pregherò
per lui. Forse le parole lo aiutano, forse sentirmi vicina lo farà sentire meno solo e
meno spaventato. O forse non esistono le parole giuste da dire ad un essere umano che sa
che il tal giorno all'ora tale cesserà di esistere.
Se questa esecuzione non verrà sospesa, il 4 dicembre prossimo il cuore di quest'uomo
verrà fermato per sempre. Ivan Ray verrà ucciso con ciò che gli americani chiamato la
"morte pulita", l'esecuzione "umana": l'iniezione letale. Si tratta di
un cocktail di 3 diversi farmaci iniettati in sequenza nelle vene del condannato tramite
una flebo collegata ad un catetere inserito nel braccio. Però, come fino a qualche tempo
fa le autorità sostenevano, la morte non è affatto indolore. Il cocktail è composto da
sodio tiopentale, che avvia un processo di anestesia, da bromuro di curaro (noto con il
nome di "Pavulon" negli Stati Uniti), che paralizza i muscoli del condannato
(senza però toccare il cervello e i terminali nervosi) e da cloruro di potassio, che
causa la morte bloccando il cuore. Medici hanno osservato che una dose inadeguata di sodio
tiopentale (sostanza molto difficile da calibrare) provoca la morte del condannato fra
sofferenze atroci, infatti mentre il "Pavulon" paralizza il condannato, gli
effetti del cloruro di potassio sono molto dolorosi. Nella sostanza, il condannato è in
una specie di morte apparente, ha dolori atroci, è cosciente, ma sembra sereno e
addormentato. E' prigioniero del proprio corpo. Sa cosa accade intorno a lui, ma non può
muoversi, non può parlare. Sicuramente grida per il dolore e la paura, ma le sue urla
disperate non può udirle nessuno. Ricerche mediche condotte di recente negli USA hanno
dimostrato tutto questo. (*) Il dottor Mark Heath della Columbia University ha osservato:
"[
] Il condannato è sepolto vivo in una tomba chimica. Il cloruro di potassio
infligge il massimo dolore che può essere trasmesso attraverso le vene, che è tanto.
[
] L'uso del curaro per paralizzare i muscoli è inutile e può essere di una
crudeltà demenziale. La sola giustificazione per il suo impiego è quella di risparmiare
ai testimoni dell'esecuzione lo spettacolo rivoltante della morte". Già, perché
sarebbe sufficiente il cloruro di potassio per uccidere, ma i dolori sarebbero spaventosi
e lo spettacolo per i testimoni sarebbe rivoltante
. Persino l'Ordine americano dei
Veterinari ha già proibito l'uso del bromuro di curaro per, come dicono gli americani,
"mettere a dormire" gli animali. Ma ciò che vale per gli animali, negli USA,
non vale per i condannati a morte.
Dopo aver scoperto che il "Pavulon" era stato messo al bando dai veterinari
americani, un detenuto del Tennessee ha avviato un'azione legale, ma la stessa è stata
controbattuta dalle autorità statali con la spiegazione che al condannato non poteva
essere applicata la protezione caldeggiata dai veterinari perché il prigioniero "non
è un animale domestico".
Anche se fosse colpevole, Ivan Ray non merita di morire così. E' più di un animale
domestico, è molto di più di un numero di matricola. Lo ripeto: è un uomo.
(*) Fonti: ansa.it, La
Repubblica
Arianna Ballotta
Presidente Coalizione Italiana contro la Pena di Morte |
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