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PERSONA NON GRATA: UN FILM SU YASSER ARAFAT

di Alessandra Garusi

Missione Oggi

"Siamo qui per pochi giorni, non siamo degli esperti, vorremmo solo sapere che cosa sta succedendo in questa zona". Oliver Stone, come s'addice ai veri giganti della cinematografia moderna, ha un atteggiamento umile nei confronti del suo documentario, "Persona non grata", presentato al Festival di Venezia - nella sezione "Nuovi territori" - e trasmesso da RaiTre il 13 settembre. Il suo è uno sguardo sul conflitto israelo-palestinese con interviste girate in cinque giorni, nel marzo 2002, fra Gerusalemme e Ramallah. Dal lato israeliano gli interlocutori sono tre ex premier (Shimon Peres, Ehud Barak e Benjamin Netanyahu), lo storico Meil Pail e il parlamentare Gideon Ezra; dal lato palestinese, Stone interpella il portavoce di Hamas, Hasan Yoseph, e alcuni componenti mascherati della Brigata Al Aqsa, fra cui uno dei massimi dirigenti il cui nome di battaglia è Abu Kassir.
Pesa l'assenza di Ariel Sharon. "Non ha voluto parlarmi", ha detto il regista americano. "È anche vero che in quei giorni c'era appena stata la strage di Netanya. Ma se avesse voluto…". Con Yasser Arafat - altro grande assente, di cui però si ascoltano i discorsi televisivi e di cui tutti, nel bene o nel male, parlano - è andata diversamente. Era il periodo in cui doveva andare in Siria, a Damasco, per il summit arabo ed era sotto grande pressione. Era isolato, nel suo quartier generale, e gli israeliani avevano detto che se fosse partito (e loro volevano che partisse), non sarebbe potuto tornare indietro. Ma lui è rimasto e, come si vede nel documentario, poco dopo la partenza della troupe l'intera area viene attaccata e distrutta dall'Esercito israeliano.

L'OCCASIONE PERSA DI GEORGE BUSH
"Nessuno trema, nessuno ha paura, nessuno si sta ritirando…", tuona la voce di Arafat dalla tv. Ma è il suo labbro inferiore ad essere scosso da un tremore senza fine, mentre i tank avanzano. E Stone deve arrendersi all'idea di andarsene sotto scorta canadese. "Gli israeliani non garantiscono più alcun passaggio sicuro. Tra 2-3 ore qui sarà buio pesto", gli avevano riferito. E lui era sbottato: "Odio che mi si dica che cosa devo o non devo fare…". Poi aggiungerà: "Bush, in quella circostanza, non è stato imparziale. Ha perso un'occasione d'oro: quando gli israeliani sono entrati a Ramallah, doveva opporsi; invece ha detto che era giusto, che Israele aveva il sacrosanto diritto di difendersi. Non ha ottenuto nulla, non è riuscito a portare Sharon su posizioni più moderate".
"Non bisogna cercare di vincere troppo. Se una cosa non è terribilmente importante, non si deve insistere", mette in guardia ad un certo punto Shimon Peres, l'unico vero statista fra gli ex premier intervistati. E a proposito di Arafat ammette: "È una conversione difficile, quella di Arafat: da rivoluzionario a leader politico".
Sul leader palestinese, le voci sono discordanti. La più stonata in assoluto è quella di Benjamin Netanyau: "Arafat è un gran bugiardo. Hamas dice in arabo e in inglese di voler distruggere Israele. Arafat lo dice solo in arabo". Mentre Netanyau, nel suo inglese-americano fortemente accentato (neanche si fossero prolungati i suoi soggiorni in Texas…), alza la voce, ride sarcastico e parla per luoghi comuni, il Nobel per la Pace non esita ad ammettere: "Conosciamo il prezzo che noi israeliani dobbiamo pagare. Soltanto un intervento esterno, di un terzo soggetto come le Nazioni Unite, ci porterà alla pace". Della stessa opinione appare Stone: "È un conflitto infinito, che terminerà solo quando verrà trattato come un problema che non appartiene solamente a israeliani e palestinesi, bensì al mondo".
Questo regista che s'appassiona alla questione mediorientale da sempre - cioè da quando negli anni 70, sposato con una libanese, si trasferì per un periodo in Libano -, non si stupisce davanti a nulla. Nemmeno davanti alle dichiarazioni di Abu Kassir delle Brigate di Al Aqsa: "Non prendiamo ordini da Arafat, ma da Israele nella misura in cui ci attacca. Tuttavia se Arafat ci chiedesse un cessate il fuoco, lo rispetteremmo. Nel frattempo, però, non possiamo assistere impotenti alla nostra distruzione". E ancora: "Da una guardia della sicurezza di Sharon (ora in carcere, ndr), abbiamo acquistato 60 M16 e 5 milioni di proiettili. Abbiamo sborsato parecchio; il venditore se ne è approfittato un po'". Stone fa eco: "È una vecchia storia, la vedevamo anche in Vietnam - armi che venivano vendute ai nemici - e la gente faceva soldi a palate. L'avidità esiste anche nell'Esercito. E il conflitto tra Israele e Palestina non fa eccezioni".
Dal covo delle Brigate di Al Aqsa escono le scene più interessanti del documentario. Uno dei portavoce dice: "Certo che abbiamo un lavoro regolare durante il giorno. Che cosa pensa? La nostra vita quotidiana diurna è come quella di chiunque altro". E Stone rincalza: "E i kamikaze? Esiste una vera e propria lista di persone disponibili al martirio?" La domanda viene ripetuta due volte, prima di questa precisazione: "Tentiamo sempre di convincerli a non andare, ma dei potenziali kamikaze esiste ovviamente una lista. Ed è molto lunga: c'è moltissima gente disposta a morire per la nostra causa".
Del resto, lo si è visto nel quartier generale di Yasser Arafat, la Muqata: i manifesti di chi s'è fatto saltare sono appesi un po' su tutti i muri, come se fossero star del rock. E il livello di disperazione, dalla quale traggono linfa i movimenti terroristici palestinesi, è sempre molto alto. Una donna che vive nel campo profughi di Al Amaasri (Ramallah), urla alla telecamera: "Che cosa vuole ancora da noi quel cane di Sharon? Ha distrutto le nostre case, con noi dentro, mentre la maggior parte dei paesi arabi se ne fottevano di noi e del nostro futuro".
Già, il futuro… E il presente? Nelle ultime scene del documentario, Shimon Peres - che lo scorso agosto ha festeggiato i suoi ottant'anni e che vorrebbe vedere delinearsi una reale iniziativa di pace, prima di lasciare questa Terra - ha espresso questo desiderio: "Vorrei che ai bambini israeliani e palestinesi s'insegnasse la storia del futuro, non quella del passato che è stata scritta con un inchiostro rosso".

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