|
Per una politica
di prevenzione
ed educazione al consumo.
di Massimo Tanzillo
Come ha giustamente evidenziato S. Segio nel suo ultimo articolo apparso su "Il
Fuoriluogo", ciò che stupisce della proposta del vicepremier G. Fini, in materia di
tossicodipendenze, non è soltanto la semplificazione che mette sullo stesso piano uso e
abuso di sostanze, consumo e spaccio, hashish ed eroina, quanto la mancanza di memoria
storica circa tali proposte già, di fatto, sperimentate in Italia.
Infatti la L. 162/90 (la cosiddetta Jervolino-Vassalli), nelle sue parti più repressive,
è quantomeno comparabile alle nuove proposte di Governo; anch'esse si muovono su quel
sottile filo che separa termini quali recupero - repressione, cura - coazione,
liberalizzazione - proibizione ecc
Forse l'unica differenza è che oggi, oltre alla
cura si vorrebbe istituire il lavoro coatto.
Se facciamo un excursus storico saltano agli occhi gli esiti disastrosi
di tale legge (la 162/90). Si è infatti assistito negli anni '90 ad un aumento costante
dei tassi di mortalità tra i tossicodipendenti, di incarcerazioni anche per semplici
consumatori di sostanze, di un aumento della diffusione di H.I.V. e di tassi di suicidio,
dovuti all'assurdo - ed arbitrario - assioma della "dose media giornaliera" in
contrapposizione al concetto di "modica quantità" della L. 685/75. Difatti, la
legge Jervolino-Vassalli aveva come obiettivo prioritario punire chiunque consumasse
droghe; così chi veniva trovato in possesso di una dose inferiore a quella media
giornaliera, incappava in sanzioni amministrative come la sospensione della patente,
mentre per dosi superiori si incappava in sanzioni penali. Purtroppo ciò era valido anche
per reiterazioni o inosservanza di sanzioni amministrative. Insomma, la logica era - ed è
come propone il vicepremier - quella di punire anche il semplice consumo.
Non a caso, la somiglianza tra le due leggi le porta ad avere anche gli stessi
sostenitori; alcune comunità terapeutiche teorizzarono (e teorizzano) la necessità, per
la cura del tossicodipendente, di "fargli toccare il fondo", di fare, intorno a
lui "terra bruciata". Purtroppo, in molti casi, prima di "toccare il
fondo" molti giovani morivano di AIDS o si suicidavano in carcere.
Col tempo questa legge ha avuto correttivi; infatti, il D.l. 274/91
abolì l'obbligatorietà di arresto qualora la dose posseduta superasse di poco i limiti
della "dose media giornaliera" previsto dalle tabelle e, successivamente, il
"decreto Amato" del 1993 triplicava i limiti previsti dalla "dose media
giornaliera", anche se da allora, ogni anno continuano ad entrare nelle carceri
italiane più di 30.000 tossicodipendenti.
Ciò che quindi hanno in comune le due filosofie è la scelta di una
politica proibizionista, anche se non mancano le peculiarità della nuova proposta;
infatti, il disegno di legge proposto dall'on. Fini, elimina la distinzione tra droghe
leggere e droghe pesanti, cancella la filosofia della "riduzione del danno" e
promuove l'impiego del metadone "solo a scalare". Ciò suscita numerosi
interrogativi: eliminando la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, qual è la
politica che il Governo intende attuare per i consumatori di droghe leggere? E' ovvio che
parlare di programma terapeutico è assurdo. Con l'eliminazione della politica di
"riduzione del danno" l'uso del metadone "solo a scalare" quale linea
politica intende adottare il Governo per i tossicodipendenti che non svolgono alcun
programma terapeutico? L'unica risposta che affiora fulminea è la repressione.
Ma non è tutto. Abbiamo assistito recentemente, quasi in parallelo
alla proposta del vicepremier, ad una campagna di prevenzione sulle tossicodipendenze,
nata da una logica diametralmente opposta alla precedente (il vero sballo è dire no): la
campagna "O ci sei o ti fai".
E' palese in questa frase l'ideologia di una politica restrittiva, che
non lascia margini di errore o di critica. Ma risulta ancora più palese la
superficialità con la quale si adottano certe politiche o si fanno certe affermazioni.
Oggi il consumo di droghe tra i giovani è enormemente cambiato; non si vuole certo dare
una visione romantica del "vecchio eroinomane" che non vuole o non riesce ad
integrarsi nel contesto sociale in cui vive.
L'avvento delle nuove droghe coincide con l'accettazione, da parte dei consumatori, di
modelli sociali standardizzati; sostanzialmente, la maggioranza dei ragazzi che "si
fanno", "ci sono".
Oggi l'assunzione di sostanze è fortemente legata a concetti quali il consumo, la durata,
la velocità, la massificazione ecc
tipici della nostra società. Si assume una
certa droga per durare più a lungo, in luoghi di massa, dove si consuma la stessa musica,
ci si veste in un certo modo ecc
Attualmente politiche miranti alla prevenzione circa i nuovi stili di
consumo, sono ad un punto morto. Forse volutamente.
Prendere in considerazione i nuovi stili di consumo presupporrebbe anche evidenziare le
contraddizioni dei nostri tempi, stimolando la ricerca di alternative soddisfacenti e,
auspicabilmente più democratiche ed egualitarie di quelle proposte.
A guardare oggi il mondo, sembra che ve ne sia davvero bisogno.
|
|