|
Bulli con le
spalle al muro
di
Vincenzo Andraous
Guardavo il telegiornale
e il servizio che andava in onda parlava di scuola, di studenti, di
bullismo. Un telefonino aveva ripreso tutta la scena, il bullo che
dall’ultimo banco scagliava un astuccio all’indirizzo della
professoressa che stava scrivendo alla lavagna, colpendola alla nuca.
Gli altri alunni seduti immobili come se nulla fosse accaduto, mentre
l’insegnante in lacrime fuggiva dalla stanza.
Osservando la scena alla televisione, ho sentito un brivido percorrermi
la schiena: in quei fotogrammi, quel ragazzo nascosto dall’ultimo fila,
quel lancio codardo a colpire alle spalle, ho rivisto un altro bullo
allo sbaraglio, in quei ragazzi educatamente seduti ai loro banchi, ho
ricordato altri compagni, in quella fuga scomposta l’umiliazione di
altre persone incolpevoli.
Il telegiornale mi ha rispedito a una classe anonima, dove rimanere un
figurante non protagonista del proprio vivere, e diventare “diverso” a
scuola, in famiglia, nella strada, è stato il passo più breve per fare
conoscenza dapprima con un carcere per minorenni, poi con il resto del
panorama penitenziario.
Le risate dei ragazzi intorno al bullo risuonano come mine vaganti, il
filmato ne conserva i ghigni soddisfatti, e in questa desolante
attualità, fanno capolino i genitori diventati specialisti forensi,
protesi all’assoluzione in formula piena, mentre gli stessi professori
sono ridotti a semplici trasmettitori di mere nozioni, poco interessati
alla tecnica dialogica, che però consente di instaurare relazioni
importanti, che portano alla conoscenza delle retrovie dove scorrono le
ansie, il panico, le solitudini, i progetti immaturi che disconoscono le
mediazioni.
In quelle immagini si percepisce una sensazione amara di angoscia, con
la tentazione di scrollare le spalle per non chiedersi chi fermerà la
mano di quel ragazzo, per evitare una seconda volta che potrebbe
rasentare la tragedia, e ci faccia sentire tutti coinvolti, nessuno
escluso dal farci i conti.
Senz’altro è importante che specialisti e riferimenti autorevoli
sinergicamente facciano sentire il peso delle loro professionalità, con
la messa in rete di interventi capaci, ma forse occorre un’azione ancor
più incisiva, e soprattutto invasiva, occorre dare e fare testimonianza
attraverso il proprio vissuto, la propria storia personale, dolorosa e
inquietante, a tal punto da mettere con le spalle al muro il rischio di
una infantilizzazione che nasconde fragilità e vuoti esistenziali.
A un giovane arrabbiato non è la predicozza a colpirlo sul mento, bensì
il porsi a fronte mettendo insieme il coraggio sufficiente per spiegare
la sofferenza che può scaturire da un gesto estremo.
Giovani studenti travestiti da guerrieri, a rimarcare la mancanza di
rispetto del mondo adulto, affascinati dalla scoperta della violenza tra
i pari, perdendo contatto con le ore ferme, ripetute, nel bisogno di
fendere l’aria con il taglio della mano, nel tentativo di rincorrere il
tempo che si allontana……..senza però raggiungerlo mai, anzi perdendone i
pezzi migliori, quelli più importanti, perché non ritorneranno più.
|
|