1. Introduzione
Il 18 Gennaio 2006 la Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana ha pubblicato la Legge 09/01/2006 n. 7, recante
“Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle
pratiche di mutilazione genitale femminile”, diffuse ormai da
lungo tempo anche e soprattutto in Italia.
In attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione della
Repubblica Italiana [1]
e di quanto sancito dalla Dichiarazione e dal Programma di
azione adottati a Pechino il 15 Settembre 1995 nella Quarta
Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle Donne, la “Legge
Consolo” (dal nome dell’On. Giuseppe Consolo, proponente e primo
firmatario), detta “le misure necessarie per prevenire,
contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale
femminile quali violazioni dei diritti fondamentali
all'integrità della persona e alla salute delle donne e delle
bambine.” [2]
2.
Epidemiologia e definizioni
Le pratiche di
mutilazione sessuale femminile sono diffuse in almeno 40 Paesi
nel mondo (28 Paesi dell’Africa sub-sahariana [3]):
ogni anno 3 milioni di bambine si aggiungono ai 130 milioni di
donne che già convivono con il ricordo, concreto ed indelebile,
di questa orrenda tortura [4].
In particolare, i dati forniti dalle ricerche nei singoli Paesi
rivelano percentuali che vanno dal 5 per cento delle donne in
Niger al 94 per cento in Mali. Nella maggioranza dei Paesi
monitorati circa la metà dell’intera popolazione femminile ha
subito tali pratiche. Le percentuali in alcuni Paesi dell’Africa
Orientale sono vicine o superiori al 90 per cento. Tra i Paesi
dell’Africa Centrale per i quali si dispone di dati, le
percentuali variano dal 5 per cento nella Repubblica Democratica
del Congo al 60 per cento in Chad. In Egitto, il 97% delle donne
ha subito mutilazioni genitali [5].
Gli unici Paesi che registrano una riduzione continua dei tassi
di prevalenza sono la Repubblica Centrafricana, dove le
percentuali di MGF tra le donne dai 20 ai 24 anni sono inferiori
a quelle registrate tra le donne dai 45 ai 49 anni, ed il Kenya
dove tali percentuali corrispondono rispettivamente al 32 e al
48 per cento [6].
Secondo
stime non ufficiali, solo in Italia sono state in media – fino
alla promulgazione della nuova Legge – 40mila ogni anno le
giovani donne ad esser sottoposte a questo orrendo “rituale”.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) distingue le
mutilazioni sessuali femminili in 4 tipi differenti (a seconda
della gravità per il soggetto):
1. Circoncisione o infibulazione “as sunnah”: si limita alla
scrittura della punta del clitoride con fuoriuscita di sette
gocce di sangue simboliche;
2. Escissione “al uasat”: asportazione del clitoride e taglio
totale o parziale delle piccole labbra;
3. Infibulazione o circoncisione faraonica o sudanese:
asportazione del clitoride, delle piccole labbra, di parte delle
grandi labbra con cauterizzazione, cui segue la cucitura della
vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la
fuoriuscita dll’urina e del sangue mestruale;
4. Interventi di varia natura sui genitali femminili.
Mentre la prima è puramente simbolica e non comporta
conseguenze, soprattutto la terza, l’infibulazione faraonica,
danneggia in maniera grave la salute generale e la vita sessuale
delle donne.
E’ soprattutto su quest’ultima pratica che si concentra
l’analisi di questo scritto.
3. La
cultura dell’infibulazione
Le mutilazioni
genitali femminili (in particolare l’infibulazione) vengono
molto spesso considerate parte di alcune culture religiose,
prevalentemente islamiche. In realtà si praticano in società di
religione sia islamica che politeista e cristiana (copta,
cristiana ortodossa, protestante, giudaica) [7],
pur essendo pubblicamente condannate in ciascuna di
esse.
Mentre, infatti, alcuni Islamici sostengono che tali pratiche
trovino origine in alcune ahadith del profeta Maometto che disse
ad una donna che stava praticando un’infibulazione su una
bambina: “Taglia, ma non distruggere”, ci sono testimonianze
storiche che attestano che tali procedure fossero già praticate
al tempo dei Romani antichi.
Le motivazioni che spingono a praticare queste vere e proprie
torture si richiamano a detti popolari, precetti religiosi o al
controllo politico e sessuale della donna.
Ma la motivazione e causa fondamentale di questo crimine è che
nelle culture ove le mutilazioni sono richieste e praticate non
averle subite significa isolamento sociale. La
sessualità femminile è considerata un istinto impuro e da
controllare e, possibilmente, annullare. Attraverso queste
pratiche la donna preserva l’onore e l’integrità della famiglia.
Questo “imperativo categorico” sociale fa dimenticare alla
stessa vittima il carattere di tortura di tali pratiche e di
annullamento completo dei propri diritti di persona umana [8].
Prima dell’entrata in vigore della Legge Consolo, un’autorevole
dottrina riportava: “Questo tipo di mutilazione femminile ha
antiche radici in alcune zone del continente africano ed è stata
adottata in aree islamiche, ma non ha una vera motivazione
religiosa; riflette piuttosto quella mentalità arcaica che vede
nella donna una sorta di proprietà esclusiva dell’uomo, priva
del diritto ad una propria peculiare sessualità. Non c’è dubbio
che, riguardate nella loro materialità e nei conseguenti effetti
corporei, le pratiche infibulatorie integrano il reato di
lesioni volontarie di cui all’articolo 582 del Codice Penale e
risultano contrarie, sotto diversi profili, a convenzioni e
dichiarazioni
internazionali sui diritti umani, ed in questo senso già si
registrano in Italia delle sentenze di condanna per pratiche del
genere (Floris). Il profilo penalistico della questione è
richiamato in una dichiarazione del Ministero della Sanità del
30 Settembre 1999 con la quale, rispondendo implicitamente a
quanti, con la motivazione della diversità di cultura e di
tradizioni, ritengono che l’infibulazione possa essere
legittimata e praticata addirittura nell’ambito delle strutture
pubbliche sanitarie, esclude categoricamente <<
l’effettuazione di tali interventi presso le strutture del SSN e
per opera del personale medico>>. E’ vero, però, che sarebbe
difficile risolvere un problema che nasce daoggettive e profonde
diversità culturali, e che si innesta in tradizioni etniche
molto radicate, in un’ottica esclusivamente penalistica. La
rilevanza di valori quali la tutela della salute e della dignità
della persona suggeriscono che lo Stato, e gli enti competenti,
si facciano promotori di interventi preventivi, soprattutto di
carattere educativo, capaci di far arretrare e infine estirpare
usi e abitudini che contrastano con acquisizioni che
appartengono a tutta l’umanità, a prescindere dall’area
geopolitica in cui sono germinati (Vitalone)” [9].
Oltrepassando ulteriormente i confini del Biodiritto, le MGF -
formalmente e nella sostanza atti di violenza su minore -
vengono considerate tradizionalmente un segno di premura ed
attenzione nei confronti delle bambine: una bambina non
infibulata è una bambina di cui nessuno si è preso cura.
Perdendo individualità e diritti, la giovane donna viene
accettata dal proprio gruppo sociale, subendo dunque non solo
una violenza fisica, ma anche psicologica, poiché la pratica
mutilativa viene considerata dalle stesse donne necessaria per
il loro vivere associato.
4.
Modalità, effetti e conseguenze psico-fisiche
Il
termine “infibulazione” deriva dal latino fibula, la spilla
utilizzata per agganciare la toga romana. Essa veniva utilizzata
nei tempi antichi anche per impedire i rapporti sessuali tra gli
schiavi (fissando le grandi labbra delle donne e il prepuzio
degli uomini) e per preservare le fedeltà delle schiave verso i
loro padroni.
Attualmente, al “rito” dell’infibulazione partecipano solo
donne. Il taglio degli organi genitali viene compiuto da una
donna anziana (una chiromante o una levatrice) che procede
all’operazione dietro un alto compenso monetario.
Nella maggior parte dei casi viene praticata su bambine dai 2
agli 8 anni, ma l’intervallo di età aumenta nei diversi Paesi
(ad esempio, nel Sud della Nigeria si pratica sulle neonate, in
Uganda sulle adolescenti, in Somalia sulle bambine).
La bambina viene immobilizzata a gambe divaricate, il taglio
viene effettuato senza alcuna anestesia o sostanza
disinfettante, tramite un paio di forbici o un coltello, una
scheggia di metallo o un pezzo di vetro.
Le ferite vengono suturate con spine di acacia o fili di seta e
cicatrizzate con sostanze naturali (succo di limone, erbe
aromatiche, tuorlo d’uovo, ceneri), spesso causa di infezioni
violente e mortali. A questo si aggiungono la possibilità che
l’operazione, condotta da mani inesperte, danneggi anche altri
organi e le complicazioni al momento del parto che possono
portare alla morte della madre e del figlio.
Dopo l’operazione, le gambe vengono legate e immobilizzate per
alcune settimane per consentire la guarigione della ferita.
Attraverso questa pratica i rapporti sessuali vengono resi
impossibili fino alla defibulazione [10],
effettuata direttamente dallo sposo prima del matrimonio o della
prima
notte di nozze per consentire la penetrazione e conservare la
verginità della donna [11].
Dopo ogni parto viene praticata una nuova infibulazione (“reinfibulazione”
[12]),
al fine di ripristinare la situazione prematrimoniale.
Le conseguenze psico-fisiche sono devastanti: i rapporti
sessuali diventano difficili e molto dolorosi, la donna perde
quasi completamente la capacità di provarne piacere.
Molto spesso la vittima è affetta da ritenzione urinaria,
cistiti molto gravi (accompagnate da una dolorosa difficoltà
nella minzione), infezioni vaginali, shock emorragico,
frigidità.
5. Le
Mutilazioni Genitali Femminili nel contesto internazionale
L’opera internazionale per contrastare ed abolire l’abitudine a
tali pratiche prende il via concretamente solo in questo secolo,
grazie agli sforzi di Organizzazioni femminili africane.
La Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite sollevò il
problema nel 1952, ma solo nel 1984 l’ONU creò un Comitato
Interafricano contro le pratiche tradizionali pregiudizievoli
per la salute delle donne e dei bambini” (IAC), con sede a
Dakar. Dai primi Anni ’90 le MGF vengono riconosciute dalla
comunità internazionale come una grave violazione dei diritti
delle donne e delle bambine.
Nel contesto internazionale la condanna della pratica delle MGF
si articola in tre dimensioni: la tutela dei Diritti Umani, dei
diritti della Donna e dei diritti del Bambino [13].
Le Nazioni Unite condannano la pratica delle MGF facendo
inizialmente riferimento all’Art. 5 della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 (“Nessun individuo
potrà essere sottoposto a tortura o a punizioni crudeli, inumane
o degradanti”) fino alla solenne Dichiarazione di Ginevra del
1997, promulgata da tre Agenzie dell’ONU - il Fondo delle
Nazioni Unite per la Popolazione, l’Organizzazione Mondiale
della Sanità e il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia -
dove per mutilazioni genitali femminili si intendono “tutte le
procedure che comportano la rimozione parziale dei genitali
esterni femminili o altri interventi dannosi sugli organi
genitali tanto per ragioni culturali che per altre ragioni non
terapeutiche”.
In Africa (dove le MGF vengono praticate in tutti i Paesi) da
oltre vent’anni molti Stati hanno intrapreso un’opera di
discussione e prevenzione per il superamento di tali pratiche,
elaborando leggi e strumenti preventivi che conducano ad un
reale cambiamento di mentalità individuale e sociale.
Il primo Gruppo di lavoro venne costituito nel 1977 da 20
Organizzazioni Non Governative aventi status consultivo per
l’ONU. Da allora si sono succedute occasioni di incontro e di
studio che hanno avviato un dibattito ormai continuo su questi
argomenti e sull’entrata in vigore di leggi che proibiscano tali
pratiche [14].
In particolare alcuni Paesi, come il Burkina Faso, l’Egitto e il
Togo hanno vietato per legge le MGF (in Burkina Faso e in Egitto
esse non sono pù praticate neanche secondo il diritto
consuetudinario) [15].
In Europa, l’attenzione verso questo problema nasce all’inizio
degli Anni ’70 fino a concretizzarsi nel 1980 con l’apertura
dela Conferenza di Copenhagen sulla Donna ed il parallelo Forum
di Organizzazioni Non Governative in cui delegate statunitensi
ed africane si scontrarono e confrontarono vivacemente sul tema.
Nei decenni successivi la risoluzione di questo problema è
diventata sempre più necessaria ed urgente, a causa
dell’intensificarsi dei flussi migratori provenienti dall’Africa
verso il Vecchio Continente, con l’aumento di richieste, da
parte dei genitori immigrati, di poter effettuare mutilazioni
genitali sulle proprie figlie nelle strutture sanitarie
pubbliche.
Il Consiglio d’Europa assimila le mutilazioni genitali femminili
alle pratiche di tortura, facendo esplicito riferimento all’Art.
3 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e
delle Libertà fondamentali” del 1950 (“Nessuno può essere
sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o
degradanti”) [16].
La Svezia è stato il primo Paese, nel 1982, a dotarsi di una
disciplina specifica in materia, seguita nel 1998 dalla
Norvegia. La Legge svedese proibisce “operazioni sulle parti
esterne dei genitali femminili che hanno lo scopo di mutilarli o
di produrre altri danni permanenti”.
In Gran Bretagna, nel 1985 è entrato in vigore il “Prohibition
of Female Circumcision Act”, ai sensi del quale è un crimine
“praticare l’escissione o mutilare in
altro modo, interamente o parzialmente, le grandi labbra o il
clitoride di un’altra persona”.
In Germania il Tribunale Amministrativo di Oldenburg è
recentemente ricorso alla Convenzione di Ginevra sullo status di
rifugiato del 1951, accogliendo il ricorso di una cittadina del
Togo, permettendole di non essere espulsa dal territorio
tedesco, con la motivazione che la condizione di una donna
obbligata a subire delle mutilazioni puo’ essere considerata una
vera e propria persecuzione [17].
La Francia è l’unico Paese europeo dove si sono celebrati
processi contro gli esecutori di pratiche di mutilazione
sessuale, non essendo però presente nell’ordinamento giuridico
interno una Legge specifica in materia, basandosi gli organi
giudiziari sull’Art. 222 del Codice penale che punisce
genericamente le “mutilazioni” fisiche contro natura.
A testimonianza che le MGF non sono una tradizione della
religione e della cultura islamica, significativa e importante è
la Dichiarazione di Rabat del 2005, a conclusione della prima
Conferenza Islamica dei Ministri incaricati, che invita tutti
gli Stati musulmani a “prendere le necessarie misure per
eliminare tutte le forme di discriminazione nei confronti delle
ragazze e tutte le pratiche tradizionali nocive, come la
mutilazione genitale femminile”, sottolineando che queste
pratiche sono contro i precetti e la tradizione dell’Islam. Ai
Governi è stato chiesto di “promulgare ed attuare leggi
adeguate, fare dei programmi nazionali e delle strategie per
proteggere le ragazze”.
6.
All’avanguardia normativa per la salvaguardia dei diritti: la
“Legge Consolo”
Dal 9 Gennaio 2006 praticare mutilazioni genitali femminili a
fini non terapeutici, anche in Italia è un reato [18].
L’importanza sociale dell’entrata in vigore di tale
provvedimento risiede nel fatto che l’Italia è il primo Paese in
Europa con il più alto numero di donne infibulate, per lo più
immigrate di origine somala e nigeriana e le loro figlie.
Le nuove norme hanno lo scopo di “prevenire, contrastare e
reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali
violazioni dei diritti fondamentali all'integrità della persona
e alla salute delle donne e delle bambine” (Art. 1).
La strategia di questo strumento normativo segue un approccio
integrato.
La Legge Consolo si caratterizza, infatti, per il suo duplice
carattere di provvedimento repressivo dell’illegalità e della
violenza contro i diritti umani di ogni donna e strumento
formativo con lo scopo di informare il più possibile le donne e
le famiglie immigrate nel nostro Paese e di vincere,
eliminandola fin dall’origine, l’ignoranza dei propri diritti,
alla base di queste orribili pratiche.
Dall’entrata in vigore della Legge “chiunque, in assenza di
esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni
sessuali, lesioni agli organi genitali femminili, da cui derivi
una malattia nel corpo o nella mente, e' punito con la
reclusione da tre a sette anni. La pena e' diminuita fino a due
terzi se la lesione è di lieve entità.
La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche sono commesse
a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di
lucro.
Tali disposizioni si applicano altresì quando il fatto è
commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero
residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di
straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è
punito a richiesta del Ministro della Giustizia.
La condanna contro l'esercente una professione sanitaria per
taluno dei delitti previsti importa la pena accessoria
dell'interdizione dalla professione da tre a dieci anni” (Art.
6) [19].
La seconda parte della Legge è mirata a promuovere Programmi di
cooperazione internazionale “condotti dal Ministero degli Affari
esteri e in particolare nei programmi finalizzati alla
promozione dei diritti delle donne, in Paesi dove, anche in
presenza di norme nazionali di divieto, continuano ad essere
praticate mutilazioni genitali femminili, e comunque senza nuovi
o maggiori oneri per lo Stato, in accordo con i Governi
interessati, presso le popolazioni locali”. Tali “progetti di
formazione e informazione sono diretti a scoraggiare tali
pratiche nonché a creare centri antiviolenza che possano
eventualmente dare accoglienza alle giovani che intendano
sottrarsi a tali pratiche ovvero alle donne che intendano
sottrarvi le proprie figlie o le proprie parenti in età minore”.
Questo allo scopo di diffondere la conoscenza dei diritti
fondamentali della persona e di “modificare le motivazioni
culturali, etniche e religiose che sono alla base delle
pratiche” vietate (Art. 7).
Il 4 Aprile 2006 la Legge Consolo viene applicata per la prima
volta.
A Verona le Forze di Pubblica Sicurezza arrestano una donna
nigeriana di 43 anni che, in cambio di un compenso di 300 Euro,
era pronta a mutilare una neonata di 14 giorni. Gli Agenti di
Polizia l’hanno fermata poco prima che iniziasse l’intervento,
nell’abitazione dei genitori della piccola vittima, una coppia
di suoi connazionali. La donna aveva in borsa forbici
chirurgiche, flaconi di sostanze anestetizzanti e antibiotici,
garze ed olii emollienti. Pochi giorni prima aveva eseguito un
intervento simile su un’altra bambina.
7.
Conclusioni
Una società nasce dall’unione di individui che stabiliscono
leggi e norme per governare se stessi in relazione agli altri ed
ottenere da questi rapporti vantaggi e benefici che non
otterrebbero individualmente.
Le Leggi, per loro natura intrinseca, devono seguire il corso
dell’evoluzione umana per salvaguardare il diritto di ogni
individuo di esercitare i propri diritti all’interno del proprio
gruppo sociale.
La legge 7/2006 rappresenta nel panorama normativo italiano ed
internazionale un mezzo di difesa e prevenzione.
L’ordinamento giuridico italiano si è dotato di uno strumento
non solo repressivo, ma necessario e utile per creare una nuova
cutura di diritti, un nuovo modo di entrare nella comunità.
Affinché nel nostro Paese nessuno debba mai più pagare un prezzo
per la propria esistenza.
1 Art. 2 “La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale”.
Art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali”.
Art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale
diritto dell’individuo e interesse della collettività. E
garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere
obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i
limiti imposti dal rispetto della persona umana” (Costituzione
della Repubblica Italiana, 1 Gennaio 1948)
2 Art. 1, Legge
7/06, GU n. 14, 18 Gennaio 2006.
3
L’infibulazione interessa quasi la totalità delle donne in
Somalia, Gibuti e Sudan (con eccezione delle popolazioni
cristiane del Sud Kenya, Sud Egitto, Nord Nigeria e alcune zone
del Mali). Altre forme meno invasive vengono praticate in
Etiopia, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana, Togo, Tanzania,
Uganda, Senegal. Ci sono casi di mutilazioni genitali femminili
anche fuori dall’Africa (Oman, Yemen, Emirati Arabi Uniti) e in
alcune zone dell’Indonesia e della Malaysia. Questa pratica è
molto diffusa tra le comunità immigrate dai suddetti Paesi verso
Canada, Stati Uniti, Europa ed Oceania (dati forniti da
www.nigrizia.it, 2004).
4
Precedenti stime ritenevano che annualmente venissero sottoposte
alla pratica 2 milioni di bambine; le nuove cifre di 3 milioni
all’anno non riflettono un aumento, ma sono il frutto di una
migliore raccolta dati, afferma l’UNICEF. Il nuovo Rapporto
(Novembre 2005) guarda anche alle strategie che stanno aiutando
le comunità ad abbandonare la pratica, tra cui le iniziative
appoggiate dall’UNICEF in Egitto, che guidano le comunità ad
impegnarsi in discussioni pubbliche per affrontare apertamente
il problema, le appoggiano nelle dichiarazioni collettive di
abbandono della pratica e diffondono il loro messaggio alle
comunità vicine. Il coinvolgimento di importanti personaggi
pubblici, tra cui capi tradizionali e religiosi, può svolgere un
ruolo decisivo per stimolare il dibattito pubblico. Personale
sanitario, guaritori tradizionali, operatori sociali e
insegnanti devono essere istruiti e appoggiati in maniera da
scoraggiare la pratica (“Corriere della Sera”, 11 Novembre
2005).
5 Tratto da “The
world’s women 2000. Trends and statistics”, a cura dell’Ufficio
Statistico delle Nazioni Unite, New York, 2000).
6
“Demografic and Health Survey”, DHS, 1995.
7
In Europa già nel 1822 fu praticata la prima amputazione da
parte del medico Graefesu su una giovane di 5 anni per curarla
in modo definitivo dall’onanismo; anche il medico Broca eseguì,
allo stesso scopo, un’infibulazione nel 1863.
Negli anni che vanno dal 1860 al 1870, l’Inghilterra vittoriana
praticava diffusamente le mutilazioni genitali, “esportando” poi
tali pratiche anche negli Stati Uniti.
8
I Bambara, una delle etnìe del Mali, chiamano le donne non
infibulate o escisse “bikaloro”, un gravissimo insulto che vuol
dire essere privi di ogni maturita. Al momento di questa
dolorosa “cerimonia di iniziazione” le bambine pù grandi si
impegnano a non gridare: sarebbe una grave dimostrazione di
vergogna attribuita ai prorpi genitori: “Se piangi, non sei
degna di tuo padre”, cantano le donne del villaggio. All’uscita
le piccole vittime trovano i tam tam ad accoglierle
festosamente, mentre alle piccole che saranno operate in future
si ricorda quotidianamente: “Se non sei escissa, non hai amici,
non hai diritto a farti corteggiare da nessun ragazzo, non puoi
comportarti da donna” (dal testo de “L’iniziazione”,
documentario televisivo girato da Ilaria Freccia e trasmesso da
RAI3 il 22 Novembre 2005).
9 Carlo Cardia,
“Principi di diritto ecclesiastico”, pagg. 186-187 – Ed.
Giappichelli 2002. Ringrazio Marco Giudici per aver discusso con
me in particolare questo punto.
10
“La defibulazione è la procedura che si attua per accrescere
l’apertura dell’orifizio lasciata al momento dell’infibulazione.
Questa comporta un’incisione nella cicatrice dell’infibulazione,
creando un’apertura, con la rimarginazione delle rimanenti labia
majora. Ciò riduce la possibilità di future complicazioni e
aiuta ad eliminare alcuni
problemi cronici. Spesso è effettuata quando una donna sta per
sposarsi, ma è frequentemente posticipata fino al momento del
parto” (tratto da “Mutilazioni dei genitali femminili”, AIDOS,
Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, 2000).
11
In Somalia l’età normale per un matrimonio è 12-16 anni, qualche
anno dopo l’infibulazione (la poligamia è permessa e il divorzio
facile da ottenere). Il matrimonio è organizzato dalla famiglia
della sposa in cambio di denaro o merci.
Dopo che l’affare è stato concordato, la madre o la sorella
dello sposo esaminano la ragazza per constatare se
l’infibulazione è intatta (poca importanza viene data all’imene
che è difficile da visualizzare). Il matrimonio è impossibile da
consumare a causa della barriera generata chirurgicamente.
Allora lo sposo o i parenti della sposa allargano l’apertura
vaginale con un piccolo coltello così che i rapporti sessuali
possano avere luogo. E’ responsabilità delle parenti femminili
dello sposo esaminare la sposa poche settimane prima del
matrimonio e, se necessario, allargare l’apertura vaginale (da
www.benessere.com /sessuologia, 2004).
12
“La reinfibulazione è la procedura attraverso la quale le labbra
della vagina vengono ricucite insieme dopo il parto.
Questo ulteriore taglio e suturazione accresce la mancanza di
elasticità del perineo. A volte è richiesta dal marito o dalla
donna stessa. Spesso comporta un ulteriore rstringimento
dell’apertura. La ripetizione di defibulazione e reinfibulazione
può causare danni per tutta la vita” (tratto da “Mutilazioni dei
genitali femmnili”, AIDOS, ibidem).
13.
Nella “Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione contro le Donne” del 1979 si fa generico
rferimento (Art. 2) alle MGF che invece vengono direttamente
richiamate come pregiudizievoli per la salute delle Donne e
delle Bambine in un Documento congiunto OMS/UNICEF del 1980
contro ogni tipo di sostegno alla medicalizzazione della
pratica. Nel 1986 viene pubblicato il Primo Rapporto dl Gruppo
di lavoro delle Nazioni Unite sulle pratiche tradizionali nocive
alla salute delle Donne e dei Bambini. Nel 1990 viene inserito
un Articolo di condanna delle MGF (Ar. 24, comma 3) nella
Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Bambini. Seguono
la Dichiarazione sulla violenza contro le Donne di Vienna
(1993), la Conferenza Mondiale su Popolazione e Sviluppo del
Cairo (1994), la Dichiarazione conclusiva della Quarta
Conferenza Mondiale sulla Donna di pechino (1995) ed il
Protocollo di Maputo, a conclusione della Conferenza
Sub-Regionale sulle Mutilazioni Genitali Femminili del Febbraio
2006, ratificato da un numeo sempre crescente di Stati Africani.
14.
Nel Settembre 1997 lo IAC tenne un Convegno per giuristi
nell’ambito dell’Organizzazione per l’Unità Africana ad Addis
Abbeba ed elaborò la Carta di Addis Abbeba, un documento che
chiede ai Governi africani di adoperarsi per eradicare (o
drasticamente ridurre) la pratica delle MGF entro il 2005.
Le mutilazioni vengono vietate anche dall’Art. 21 della Carta
Africana sui diritti e il benessere del Fanciullo del 1990.
I Paesi africani in cui le mutilazioni sessuali sono vietate per
legge sono (in ordine di entrata in vigore): Guinea, Repubblica
Centroafricana, Ghana, Etiopia, Djbouti, Uganda, Egitto, Burkina
Faso, Costa d’Avorio, Tanzania, Togo, Senegal (dati forniti da
Amnesty International).
15.
Nel 1994 il Fondo Monetario Internazionale ha vincolato la
concessione di un prestito all’impegno del Governo del Burkina
Faso di combattere le mutilazioni.
16
In base alla giurisprudenza costante della Corte Europea per i
Diritti dell’Uomo di Strasburgo, tale divieto non deve
intendersi soltanto riferito all’attività direttamente svolta
dalle autorità dei paesi aderenti alla Convenzione, ma anche ad
ogni provvedimento delle medesime autorità che indirettamente
consentisse l’attuazione di tali trattamenti da parte delle
autorità di Paesi diversi.
17.
La Convenzione di Ginevra del 1951 garantisce protezione a chi
teme di essere perseguitato nel proprio Paese e, quindi,
sottopsto a trattamenti lesivi della propria libertà personale e
dei propri diritti fondamentali a motivo della sua appartenenza
ad un gruppo etnico, politico o religioso e della sua
particolare situazione sociale. In base ad una corretta
interpretazione dlla Convenzione di Ginevra il caso del fondato
timore di sottoposizione all’infibulazione è sicuramente
riconducibile alla nozione di persecuzione.
18.
Fino all’entrata in vigore della legge 7/06 si applicavano, in
caso di denuncia, gli Artt. 582 e 583 del Codice Penale,
relativi alle lesioni personali.
19
Altre sanzioni sono previste per l’Ente nella cui struttura è
commesso il delitto introdotto dall’Art 583 bis del Codice
Penale per il quale è prvista la sanzione pecuniaria da 300 a
700 quote e le sanzioni interdittive previste dall’Art. 9 (comma
2) del Decreto Legislativo 8 Giugno 2001, n. 231, per una durata
non inferiore ad un anno. Nel caso in cui si tratti di un Ente
privato accreditato è altresì revocato l’accreditamento (Art. 8,
ibidem). |
|