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Prime pagine
a cura
di Gianfranco Fabbri
Stefano Guglielmin
conferma con questi testi inediti una sua vocazione precisa nel campo
della ricerca letteraria – non per nulla è assai vicino alle posizioni
della rivista Anterem, fondata e diretta da quel raffinatone di Flavio
Ermini -. I componimenti che leggerete tra qualche istante sono dei veri
e propri singulti del segno poetico, anche visti nella loro sede di
“falsa prosa”.
A parte il primo testo, quello scritto in corsivo, al cui interno è
possibile gustare l’armonica eufonia del fraseggio e la tematica della
morte e della simultaneità, le altre composizioni ci offrono energie
evocanti un preciso “rito”. Si entra così in un’atmosfera onirica e
criptica che non manca di turbare. L' autore, però, con la sua cifra
stilistica e la sua passione umana, ci offre volentieri le chiavi per
cogliere le suggestioni di questa poesia, che rimanda direttamente al
senso delle radici dell'orto famigliare.
Ouse
“l’orto è
dove si nasce”
A M.G.C.
Quando poi, cadendo
la foglia si fa musica
c’è sempre qualcuno
lontano
che muore
cadendo
si fa musica
e muore
**
1.
non pensavo a tanto. a tanta cosa che lascia qui e soli. e vuole
per noi altra cosa, nuova. non pensavo che a cosa aperta, qui.
cuore forse, mano. o parola come cosa che ci apre qui e ci tocca.
cosa che batte e sta fuori e dentro, in effetti, vibrando.
poi capita che il corpo cada, che fondi altra via, subacquea. il
corpo, lascia terra per sempre. e vola, un poco. e sale. poi cede
perché corpo, cosa estesa e dunque peso, ostile al nuoto e
all’aria a volte. e nessuna voglia di tornare. o forse sì
a casa probabilmente. là dove casa è scritta nella carne, dentro.
nel corpo come il volo o l’acqua, come l’amore e i figli. non
pensava a tanto. e non er sempre solo chiudere un libro,
aprirne un altro.
3.
la casa. le stanze. tu che nelle stanze cerchi casa. e così tua figlia
nella culla. lei che chiude gli occhi e piange. anche tu li chiudi.
come cielo nero e volo degli storni poi ritorni. piano, ciglia,
piano, l’iride che piange.
ancora piange ancora, la palpebra, piano. un lamento che sale
dal ventre, poi scende. la mano scende, il resto. e così dormi, se
puoi, dormi. come le sedie e il tavolo e la culla. immobili. il tuo
corpo uguale. disteso
come su fiume egizio. oro mirra e questa casa a punta. ma
dentro batte, sì, batte il polso, combatte. l’unica luce, pare.
l’altra è il respiro di tua figlia. cuore e fiato, come correre
insieme. correre. ma solo nel sogno. e malamente.
4.
eccola seduta e ritta, matrona. lei e il fiume, i suoi tanti nomi.
poi gli amici già stati. e la griglia, più in là. tutti raccolti e gonfi
e amici, ancora. tuttavia. anche il saluto, tuttavia e la lettera
lasciata
sulla sedia. ogni cosa buona lasciata e adesso qui, seduta. con la
schiena dritta e lo sguardo. la griglia vuota, per ora. e lo sguardo
che fila schiuma e sasso. schiuma e sasso. la resistenza della
pietra, pensa
con differente ostinazione, chiaro. per natura. lei, invece, pensa.
pensa e dunque. ma per poco, si dice. frasi brevi, lampi. ritta
sulla sedia. ritta così che il mondo, che lui, il mondo, e lei in
piedi, sopra di lui…ancora un minuto grida, poi salto.
Stefano
Guglielmin è
nato nel 1961 a Schio (VI), dove vive e lavora come insegnante di
lettere. Laureato in filosofia, ha pubblicato le sillogi Fascinose
estroversioni (Quaderni del Gruppo Fara, Bergamo 1985, premio
“poesia giovane”), Logoshima (Firenze Libri 1988) e Come a
beato confine (Book editore, Castelmaggiore 2003, premio Lorenzo
Montano) ed il saggio Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella
letteratura del Novecento (Anterem, Verona 2001). Un suo racconto
breve è pubblicato su AA.VV., La lente chiara, la lente scura (Empiria,
Roma 2002, premio A.M.Ortese). Fitta e interessante è la sua
partecipazione a riviste, tra le quali si ricordano: “Atelier”, “YIP.
Yale Italian Poetry”, “Il Segnale”, “L’Ulisse” e altre
ancora.
La costruzione del verso & altre cose, 22 febbraio
2006
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