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Siamo liberi?
di Laura Montanari

L’ importante domanda è stata posta all’attenzione di numerosi adulti e giovani studenti liceali presenti mercoledì 8 marzo al quarto appuntamento di “Leggiamo e parliamone insieme”, l’iniziativa organizzata dal Punto d’Incontro ai Cappuccini di Ravenna, da Padre Dino Dozzi e da collaboratori volontari laici. . Occasionalmente la sede è stata l’aula magna del Liceo Scientifico Oriani, in previsione di una folta adesione di classi del Liceo Oriani (IV A) e dal Liceo Classico (III A, III B Psicopedagogico; IV E Linguistico).

Una costante sottintesa ai vari interventi è stata l’interpretazione della libertà come possibile punto di arrivo di un “cammino di liberazione dalla schiavitù”. Abbiamo compiuto questo cammino? Siamo liberi?
Una domanda tutt’altro che banale, la cui risposta è tutt’altro che scontata, in un tempo in cui nei princìpi della libertà si riconoscono i fondamenti peculiari della civiltà occidentale. La risposta infatti non è risultata complessivamente affermativa, poco “consolatoria”, come ha affermato fin dal suo esordio la prof.ssa Maria Paola Patuelli, intervenuta all’incontro nel ruolo di “voce laica”, tuttavia non disperata né disperante.
Si è aperto sul tema un confronto “a maglie larghe”, attraverso cui sono passate tante accezioni, anche diversificate, in riferimento a situazioni storiche, interpretazioni filosofiche e culturali differenti, di poco o di tanto, ed anche in base a esperienze soggettive diverse per formazione e per età.
Nella rubrica di apertura, “le Parole degli Antichi”, attraverso la illustrazione per sommi capi delle condizioni di negazione,di limitazione o di apertura nei confronti della libertà verificatesi nel mondo greco-romano, a livello privato e a livello politico, si è delineato un lungo percorso tendenzialmente teso alla liberazione dell’uomo e delle comunità statuali da tanti vincoli, ma segnato da stasi e da contraddizioni, ancora lontano dal riconoscimento del valore universale della libertà. Per orientare la riflessione sul nostro tempo e sugli articoli della rivista “Messaggero Cappuccino” si è dato più risalto alla sfera privata della libertà dell’individuo, oggetto di teorizzazioni nelle pagine della grande filosofia greca e della letteratura moralistica romana. Si è così visto che la figura di Antigone nella tragedia di Sofocle è emblematica dell’ individuo che secondo coscienza, in base ad un codice etico non scritto, sceglie di opporsi alle leggi non giuste imposte alla comunità, fino a rischio della vita; oppure che, con uno sforzo volontaristico, l’obiettivo difficile ma appagante della saggezza può essere conseguito attraverso un processo di liberazione dalla schiavitù delle passioni, secondo i dettami dello stoicismo passato dalla Grecia a Roma.
Dalle parole di Cicerone alle parole di padre Dozzi, che ha proposto “l’uomo in cammino”, così spesso presente nelle pagine della Bibbia, come icona della libertà: l’esodo dall’Egitto alla Palestina, il passaggio del popolo eletto dalla servitù al Faraone al servizio di Jahvé, va letto come percorso dalla schiavitù del peccato alla scelta del “giusto padrone”. Nell’ottica evangelica infatti non è nell’ assecondare la personale, egoistica ispirazione che si esprime la libertà, ma nello “scegliere chi servire”, nel mettersi a servizio degli altri. Chiaro in tal senso l’appello dell’apostolo Paolo: “Voi siete stati liberati da Cristo. Adesso che siete liberi, fatevi schiavi degli altri”. E Francesco d’Assisi addirittura vede il cammino di liberazione concluso quando si riesce a coniugare libertà e obbedienza, un binomio che a noi appare paradossale! Ammonisce infatti che si è liberi nella misura in cui si obbedisce, e si obbedisce solo se si è liberi. Obbedienza come servizio, come maturo e fiducioso consegnarsi all’altro, come prendersi cura degli altri; “perfetta” quando c’è massima corrispondenza fra la volontà di chi è inferiore a quella del superiore, ma anche quando chi è inferiore obbedisce, anche se il superiore gli comanda qualcosa contro la propria coscienza, per non tradire e separarsi dai “fratelli”, dando valore alla logica dell’amore in fraternità. La conclusione è dunque che chi riesce a far proprio l’arduo messaggio evangelico di Paolo e di Francesco, fino al punto di farne scelta responsabile di vita, può dirsi al traguardo del percorso che lo porta dalla schiavitù alla libertà.
Viene a molti il sospetto che si tratti di una meta ideale, di un profilo alto di uomo, come appare del resto il saggio delineato da Cicerone, che raggiunge la piena autonomia e la perfetta rettitudine! Sospetto più volte confermato dalle constatazioni realistiche dei giovani studenti, che nei loro interventi hanno sottolineato e insieme condannato l’egoismo e l’individualismo preponderanti nella nostra società, oggi più che mai, ma in fondo connaturati alla natura umana; a sostegno delle loro opinioni anche Kant, la denuncia del filosofo che l’uomo abusa della sua libertà, che la sua egoistica inclinazione lo conduce a trarsi fuori dai limiti, e la tesi che solo l’unificazione civile può costituire il recinto limitante la crescita deforme e disordinata.
Se dai giovani non è stato rivendicato il diritto alla libertà assoluta, è stato tuttavia espresso il rammarico di non riuscire a riconoscersi liberi se non potenzialmente, nella loro mente, nel pensiero che può immaginare qualcosa che magari non faranno o non farebbero mai. Tante sono “le schiavitù”, i condizionamenti che limitano la loro libertà, desiderata per desiderio “naturale”, profondo e antico (Più volte menzionati i versi che Dante fa dire a Virgilio al cospetto di Catone l’Uticense “libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”). I vincoli sono nelle circostanze oggettive, ma anche nella soggettivà degli individui in relazione ad esse, come le paure, i pregiudizi, i conformismi, le tentazioni del consumismo, le forme di educazione, le tradizioni culturali e religiose. Liberi dunque da che cosa..? si sono chiesti i giovani, ma in sintonia con Vasco Rossi più che con Giorgio Gaber , non se la sentono di dare risposte, azzardano che la libertà sia un’illusione.
Da Maria Paola Patuelli, un messaggio soggettivo, meditato, riferito ad una condizione di relatività e non di assoluto, perché frutto di una stagione della vita, di una lunga processualità di eventi e di esperienze, come deve essere per l’individuo che è sempre “in cammino”. Nella ricchezza degli spunti offerti dal suo intervento si sono potuti cogliere alcuni nessi con le posizioni già illustrate, ma soprattutto l’ originalità distintiva di un pensiero laico, e anche indicazioni in una certa misura positive, spiragli di fiducia, nonostante la dichiarazione d’esordio.
Alla tesi già degli studenti è stato fornito spessore con supporti argomentativi, che hanno invitato a riflettere sulle dipendenze che ci derivano dalla natura attraverso il nostro corpo, fin dal concepimento, dalla nascita, al cibo, alla crescita e alla morte. A contrappunto della tesi volontaristica dello stoico Cicerone e nonostante una illusione di autonomia ancor oggi diffusa, è affermato che nemmeno l’interiorità e la volontà sono in noi come libera scelta, in quanto siamo soggetti agli “agguati” della cultura, un patrimonio di usi, credenze, religioni, teorie che inconsapevolmente viene introiettato nel corso della nostra esistenza. Non siamo dunque liberi, perché l’essere uomini è la risultante di natura e cultura, come hanno via via svelato gli studi filosofici e psicanalitici (Montaigne, Schopenhauer, Freud); tale consapevolezza, secondo la strada indicata da Freud, deve consentirci di avviare un “processo di tendenziale ricomposizione della nostra unitarietà, della nostra soggettività (psiché incarnata), corpo e pensiero” , per aumentare la conoscenza di noi stessi, dei nostri limiti, ma anche per accettarci e per rendere possibile il cambiamento.
C’è tuttavia un piano in cui “spendere” la libertà di scelta, al di fuori di ogni meccanica necessità, ed è quello della politica e dell’etica. Chiamate in causa come maestre, Simone De Beauvoir, Simone Weil, Hannah Arendt, hanno trasmesso una “lezione” di fiducia, una risposta di libertà “possibile”, poca magari, ma preziosa. L’individuo può scegliere di dare al suo vivere una dimensione comunitaria e relazionale, condividendo, partecipando al governo di una città, di una scuola, di un’associazione, di un gruppo che si dia un progetto...Per la esistenza e sopravvivenza della “polis”, in qualsiasi accezione la si intenda, occorre impegnarsi per garantire sempre la possibilità di scelta, la convivenza civile, la pluralità come intreccio di alterità. Lo specifico della “trascendenza laica” sta nell’ “andare oltre”, nel “partire da”, “spostarsi”, “cambiare”.. per progettare un mondo di relazioni, fondato, più che sull’utopico “amore” cristiano, sull’attenzione e sul rispetto reciproci.
Pur tra le differenze che si individuano fra le interpretazioni cristiana e laica si possono cogliere in conclusione anche punti nodali di convergenza, a cui si legano anche gli spunti di riflessione offerti dai giovani , cioè la considerazione e il rispetto degli altri nella fruizione della personale libertà e l’invito a pensare alla libertà come “possibilità, come spazio di creazione, di progettualità”.
Il punto d’incontro fertile pare stia proprio nella valorizzazione condivisa della “comunità delle relazioni” come spazio entro cui realizzare sia l’obbedienza e la fraternità evangeliche sia l’impegno etico-politico dei laici sia infine il legittimo desiderio di realizzazione di sé dei giovani.

Laura Montanari
responsabile del gruppo cultura del Punto d’incontro i Cappuccini - Ravenna, 10 marzo 2006

 
 

 

 
 

agli incroci dei venti, 19 marzo 2006

 

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