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La migrazione
delle culture
di
Mauro
Daltin
Se vuoi sapere chi sono se vuoi che ti insegni ciò che so
cessa momentaneamente di essere ciò che sei e dimentica ciò che sai
Bakar Salif (Mali)
Costantino Kavafis, in una delle sue più note poesie, "Itaca",
semplificando molto il concetto, sosteneva l'importanza del viaggio e
non dell'arrivo. Sosteneva, in definitiva, che bisogna possedere
un'utopia da inseguire, sognare, un obiettivo da raggiungere, una
direzione da seguire e inseguire; il risultato, però, non si traduce
nell'approdo, nella conquista, nell'arrivo, ma nel camminare, nel
correre, nel vivere la strada, nel muoversi in direzione di Itaca.
Così come per gli uomini anche per le culture che gli uomini producono
dovrebbe valere lo stesso principio, la stessa idea di fondo che le
culture debbano per loro stessa forza essere sempre in viaggio, in
transito, migranti perenni. E dovrebbero incontrare, scontrare, durante
questa grande migrazione di saperi, conoscenze, arti, poesie, teatri,
altri generi, altre lingue, e mescolarsi, condividere, fermarsi per poi
ripartire per altre zone, verso altri esseri umani.
In questo numero ci soffermiamo sulla migrazione delle culture che vuole
essere una dicitura differente da cultura della migrazione. Quest'ultima
racchiude in sé una volontà di catalogazione di questo fenomeno con dei
paletti, come se le scritture dei migranti avessero delle peculiarità,
come se provenire da un'altra terra per qualsiasi motivo produca un
genere letterario, una cultura a sé, un fenomeno.
Io non credo questo. Credo che, al contrario, ormai ci sia una necessità
di parlare di culture in viaggio, in migrazione continua e non solo
perché i flussi migratori di persone ci toccano da vicino, ma perché, ad
esempio dal punto di vista letterario, si sta assistendo a un fiorire di
festival, editori, libri, riviste, autori che si riconducono al bisogno
di un confronto sociale, politico, economico più che letterario in senso
stretto. La migrazione delle culture dovrebbe essere un grande non luogo
dove ci si scambiano le proprie esperienze di vita, di appartenenza
linguistica, sociale, e ognuno si avvicina all'altro.
Già negli antichi imperi, scrittori e poeti esuli, migranti, narravano
le loro terre, l'esilio, la nostalgia, che è la più acuta sofferenza del
migrante. La nostalgia accende la memoria, l'immaginazione, il desiderio
di tornare in qualche modo a casa, sia pure con la parola scritta,
perché 'l'altro' legga e condivida esperienze, atmosfere, storie vissute
o immaginate. Proprio per questi aspetti per noi, come rivista che vuole
raccontare le frontiere, è importante anche pubblicare testi inediti
dalla Russia, far conoscere autori poco noti ma di straordinaria forza,
storie che provengono dall'Est (che molto spesso dimostrano la miopia e
la piccolezza della cultura italiana che si ostina a sbarrare la strada
alle letterature altre rispetto a quelle ufficiali in nome del Dio
marketing), saggi che dimostrano come lo scambio fra culture non sia una
prerogativa dei nostri tempi, ma dei passaggi che anche nei secoli
scorsi sono avvenuti.
Un profugo bosniaco ha detto che "i profughi si dividono in due
categorie: quelli con le fotografie e quelli senza". E' una bella
definizione che si può ricondurre anche alle nostre culture. Ci sono
quelle con una storia, una tradizione, una struttura riconoscibile, con
autori e libri acclamati (soprattutto dell'area linguistica inglese),
con una gigantografia che funziona da specchio dove noi ci possiamo
identificare e quindi venirne tranquillizzati e non subire scossoni
pericolosi per le nostre coscienze. E poi ci sono le letterature
scomode, cancellate, senza nemmeno una piccola fotografia per farsi
risconoscere, prive di riconoscimenti e visibilità. Il perché di ciò si
riconduce a un fattore politico, di egemonia economica e quindi
culturale alla quale siamo assoggettati. Ma negli ultimi tempi qualcosa
sta cambiando.
Soprattutto nei paesi che hanno avuto imperi coloniali sono emersi nomi
di scrittori che hanno risonanza mondiale, e grazie a loro, ci siamo
avvicinati a realtà di paesi lontani, a storie che nessun mezzo
d'informazione potrebbe raccontarci. Poiché il libro, resta, comunque,
insostituibile. Scrittori africani, esuli, sono oggi tradotti in tutto
il mondo. Da noi il fenomeno è più recente, perché più recente è il
fenomeno della migrazione, ma è in continua crescita. In Italia alcuni
scrittori e poeti, africani, albanesi, balcanici, o di altri paesi, sono
stati pubblicati da piccoli editori coraggiosi, e in qualche caso hanno
esordito con grandi editori.
Il passo successivo sarà quello di cancellare il pregiudizio di avere di
fronte un testo di uno scrittore migrante o esule o profugo. Il salto di
qualità della nostra cultura sarà quello di giudicare buono o cattivo un
testo, un romanzo, una poesia, al di là di chi è lo scrittore, al di là
della sua provenienza, della sua esperienza di vita. Certo, uno
scrittore migrante porta con sé un substrato di scossoni, cambiamenti,
registri linguistici, contaminazioni che si tradurranno in opere, forse,
con orizzonti più ampi.
Ma sarà il testo a dircelo.
Perché essere uno scrittore migrante non può essere un valore o una
condanna a priori.
Pagina
Zero, giugno 2006
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