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Negato il diritto d’asilo ai kurdi

Comunicato stampa

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Costituzione italiana

 

Articolo 10 comma 3

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Noi esuli kurdi in Italia, ci troviamo in condizioni ormai drammatiche per cui abbiamo avviato un sciopero della fame, intenzionati a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su come ci troviamo a vivere in questo paese, da richiedenti asilo oppure, ultimamente, da
persone che hanno avuto il diniego e l'intimazione a lasciare il paese.
Permetteteci di raccontarvi da che situazione arriviamo e chi siamo, affinché possiate comprendere la complessità della situazione che ci opprime.
I kurdi, un popolo di 40 milioni di individui il cui territorio dopo la Prima Guerra mondiale è stato diviso fra quattro stati, sono la più grande nazione al mondo senza riconoscimento alcuno.
Per di più rappresentiamo qui la comunità di kurdi provenienti dalla Turchia. Che cosa significa questo? La Turchia è un paese dal quale dobbiamo scappare, abbandonando affetti e beni perché in quella terra siamo perseguitati, perché i nostri diritti non sono garantiti, perché la nostra identità culturale e linguistica è negata.
Purtroppo, però, ultimamente le nostre storie di fuga non finiscono con la speranza di una nuova vita da cominciare in un paese che ci accoglie e concede asilo, soprattutto qui in Italia.
Negli ultimi mesi, infatti, la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato rifiuta di riconoscerlo alla maggioranza di noi, motivando i dinieghi che ci vengono presentati con motivazioni inconsistenti e di valenza solamente contingente, con motivazioni che non tengono invece in alcun conto di qual è la realtà della Turchia oggi, di come sono le condizioni in cui i kurdi vivono.
Negli ultimi 20 anni i kurdi di Turchia hanno risvegliato la propria coscienza nazionale, hanno ingaggiato una lotta per la propria determinazione e una battaglia su ogni campo per ottenere i propri diritti e le proprie libertà. Questo non è significato altro che ulteriori repressioni, persecuzioni, torture e morti.
Nei quindici anni di lotta per la libertà che il movimento kurdo, sostenuto dalla maggioranza della popolazione kurda, ha portato avanti in Turchia, più di 4mila villaggi sono stati distrutti, dati alle fiamme, evacuati, costringendo 3 milioni di persone ad un esodo interno, che spesso finisce poi sulle navi destinate a sbarcare in Europa e anche in Italia.
La politica di negazione e di svuotamento del territorio che la Turchia e i suoi dirigenti hanno portato avanti in questi anni, certo non si è affievolita con delle riforme cosmetiche, né con le promesse di riforme e trasformazione in vista del suo auspicato ingresso nell'UE.
Eppure, non fanno più testo le prove delle torture subite, le dichiarazioni e attestazioni di pericolo che presentiamo, uno dopo l'altro alla Commissione e alle autorità competenti. La realtà dei fatti viene troppo spesso negata in virtù di accordi politici che ormai sempre
più ci colpiscono indiscriminatamente, spingendoci così a trovare forme di denuncia più incisive.
L'espulsione che ci viene intimata all'atto del diniego dello status di rifugiato per noi significa una nuova odissea, significa ricadere ancora in uno stato di negazione, significa ancora una volta essere nessuno di fronte al mondo. Non eravamo nessuno, dovevamo negare la nostra esistenza nel paese d'origine, che non siamo nemmeno legittimati a chiamare con il proprio nome e con ogni nuovo diniego che riceviamo, qui, in uno di quei
paesi in cui la democrazia, i diritti e le libertà tanto acclamate dovrebbero essere ben radicati, ci sentiamo tornare in quella realtà da cui fuggiamo.
Aspettiamo mesi e mesi prima di essere ascoltati da una Commissione che troppe volte ci appare disattenta e frettolosa, senza avere modo di esprimere le nostre preoccupazioni, senza che la tortura fisica e psicologica, che l'attesa ci procura, venga in qualche modo presa in considerazione, soltanto per avere un foglio in cui c'è scritto, in maniera sempre uguale e ripetitiva, che il riconoscimento non è concesso perché l'attualità politica del paese da cui scappiamo  è migliorata.
Noi kurdi non abbiamo ormai altra scelta che quella di protestare anche nei confronti dell'Italia per le condizioni di negazione cui anch'essa ci abbandona. Per questo, noi, una trentina di kurdi che hanno avuto il diniego alla richiesta di riconoscimento di rifugiato avviamo uno sciopero della fame ad oltranza a partire dal giorno 11 giugno 2003, dalle ore 10:00 di fronte alla sede di Roma delle Nazioni Unite, in Piazzetta San Marco.  
Vorremmo richiamare l'attenzione di tutti gli individui, donne e uomini, ma anche delle associazioni e organizzazioni che si battono per i diritti di quelli come noi, sulla nuova drammatica realtà in cui siamo costretti a vivere, chiamandoli a fare propria la nostra causa, per i diritti e la libertà del popolo kurdo, anche in Italia. 

Roma, 10 giugno 2003

 

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