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Essere o apparire?

di

Luigi Impieri

 

L’arte del novecento, si aprì, in maniera rivoluzionaria.

Gli aspetti formali ed espressivi furono stravolti dagli artisti del tempo in cammino lungo la strada già intrapresa, volendo citare qualche nome, in campo artistico, da Gauguin, Van Gogh e Cezanne e in ambito filosofico e scientifico, da Nietzsche, Kierkegaard e Freud.

Nacquero così, le cosiddette: "Avanguardie artistiche", fra cui il movimento francese dei "Fauves", quello tedesco "Die Brucke", l’italiano "Futurismo", quello russo- tedesco dell’ "Arte Astratta" e poi il "Cubismo", il Dadaismo etc.

Lo scopo prioritario di tutti questi movimenti fu soprattutto quello di rompere i ponti con le arti del passato, compreso il movimento "Liberty" che all’epoca imperversava in Europa.

L’arte dunque, avrebbe affermato nuovi valori, a partire dal ribaltamento del concetto di bellezza che invece sarà determinata proprio dal suo stesso opposto ovvero, dal "brutto".

Tutto ciò fu dovuto in particolar modo all’esigenza avvertita dagli artisti, di interpretare liberamente e senza filtri i tumulti dell’anima e le sensazioni più recondite avvertite  dall’umanità, liberamente.

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L’Urlo, E. Munch, Olio, tempera e pastello su cartone, 91x 73,5 cm. Oslo Nasionalgalleriet

Così ad esempio il pittore norvegese Edward Munch (1863-1944), anticipando di una decina d’anni le avanguardie, già nel 1893, dipinse il capolavoro (di cui esistono più di cinquanta versioni e che farà parte di un ciclo di opere, dal titolo: "Il fregio della vita"), dal titolo "l’Urlo", fra i più "belli" di tutta l’arte moderna.

Il dipinto nacque da un’esperienza personale dell’artista, il quale ricorderà, di essersi trovato con due suoi amici su di un fiordo a passeggiare quando un senso di profonda solitudine lo avvolse.

Qui: "Un grande urlo infinito pervadeva la natura".

Il dipinto di cui parliamo, descrive in primo piano un uomo (?) fermo su un ponte posto su un tipico fiordo norvegese, dove più in là si intravedono altre due figure.

Il paesaggio è caratterizzato da linee fluide, filamentose e mosse, rosse, gialle e blu che descrivono il cielo, l’aria e il mare sul quale sono abbozzate due sagome di barche a vela.

Osservando attentamente l’Opera, notiamo che la sua bellezza scaturisce, almeno sul piano estetico dall’opposizione di Munch, alle regole accademiche che non gli avrebbero consentito di interpretare i moti più profondi dell’animo, la propria insoddisfazione rispetto ai valori della borghesia del tempo, la solitudine provocata dall’assenza di umanità, così liberamente. L’uomo in primo piano nel quadro, non ha niente di "grazioso", è un essere mostruoso, un alieno; è un fantasma che si tiene la testa (teschio) fra le mani.

Il paesaggio, il ponte posto diagonalmente al fine di evidenziare insieme il senso di profondità e di solitudine, sul quale sono stati disposti a distanza le pseudo figure (umane?), i colori contrastanti e sporchi, sono apposti senza alcuna eleganza.

Eppure il quadro è bello.

E la bellezza dell’opera sta proprio in questo "tirar fuori", ciò che si cela dentro di noi e che troppo spesso ci imponiamo di nascondere al fine di poter "apparire" piacevolmente, seguendo le richieste della società.

Munch, trasferisce sulla tela senza alcun vincolo e senza ipocrisie, le più intime sensazioni avvertite; la sua denuncia è esplicita.

A distanza di oltre un secolo il suo "Urlo", ci appare ancora straordinariamente moderno e il suo attacco nei confronti dei valori della società borghese ci appare condivisibile.

Come non notare proprio oggi che spirano inconcepibili venti di guerra, quell’ identico senso di smarrimento di valori che Munch denunciò attraverso la sua pittura?

Tutto il marcio nascosto dai falsi fasti della società borghese è stato dall’artista rivelato, senza decori e senza orpelli. Il tormento e il dolore che deformano e squarciano l’animo umano sono qui riportati senza trucco né maquillage.

Il dipinto dunque, è così sinceramente orribile e contemporaneamente intenso e penetrante tanto da risultare proprio per questo, bellissimo.

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Luigi Impieri  
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