L'uguaglianza della diversità
di Francesco Pugliese |
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Art. 3 della costituzione Italiana "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, dopinioni politiche, di condizioni personali e sociali "
Si sa che ogni essere umano è unico; le differenze esistono e vanno riconosciute. Non esistono due persone perfettamente uguali in natura, possiamo quindi considerare le differenze un fatto naturale. Vi sono differenze come il colore della pelle degli occhi o dei capelli, il tipo di corporatura, la forma dei lineamenti. Poi ci sono i tratti caratteriali, determinati dall'ambiente e dall'educazione ricevuta. Infine, possiamo considerare le differenze legate allidentità culturale di ciascuno di noi. Esiste poi laspetto dovuto alla percezione che il singolo individuo ha degli altri, ed allora la diversità può superare i criteri sopraindicati. Nella nostra società, improntata ed orientata alla produttività e al consumo, dove il valore del singolo è basato principalmente sul suo aspetto esteriore e sulle sue capacità produttive, diverso diventa sinonimo di peggiore; il "diverso" viene considerato come "inferiore", perché non presenta i requisiti richiesti allo svolgimento di unattività che deve, o dovrebbe, portare a termine in seno alla società stessa, per essere considerato come "persona". In questo caso il diverso è visto come un "problema" per la collettività ed è inteso come un carico e un onere di cui la società ha l'ingrato compito di occuparsi. Scatta dunque un meccanismo dintolleranza e discriminazione, che si manifesta con pratiche di isolamento ed emarginazione. In molti si prodigano per dare una risposta obiettiva a questo difficile problema; esperti analisti, sociologi e assistenti sociali, animati e spinti dalle migliori intenzioni, parlano di questo mondo come di un mondo parallelo, dandogli allo stesso tempo una connotazione di diversità, considerandolo come sconosciuto, contribuendo a creare confusione, disinformazione e rischiando di diffondere, sia pure involontariamente, unidea sbagliata della diversità in questione. I familiari, esaltando il loro bisogno di dare amore, racchiudono i loro cari disabili in un abbraccio protettivo, impedendogli talvolta di potersi esprimere liberamente, un abbraccio che così può rivelarsi più dannoso che utile. Anche chi ci vuol bene e ci dimostra la sua comprensione, talvolta tende a considerarci "speciali" solo per la nostra diversità, ed allora questa "specialità" spesso ci sta stretta perché anche in questo caso veniamo separati e distinti dalle altre categorie di persone che sono considerate "normali". Essere portatori di handicap non vuol dire essere speciali, così come, essere omosessuali non vuol dire necessariamente essere più sensibili, e allo stesso modo chi è in soprappeso non deve essere obbligatoriamente simpatico come Oliver Hardy "Stanlio & Ollio". Ognuno di noi è speciale a modo suo, ma non sono solo le condizioni fisiche a renderci tali. La cosa fastidiosa per noi disabili, è che tutti sono convinti di poter capire cosa proviamo, come viviamo la nostra diversità, e sono convinti di conoscere i nostri bisogni, i nostri tempi e persino i nostri gusti. Considerandoci diversi dal resto della società, hanno la tendenza a considerarci "uguali" nel nostro essere disabili, inserendoci indistintamente in un unico contesto, una specie di riserva ideale, un recinto dove il disabile è al sicuro insieme ai suoi simili, provvisto di tutto quello che gli serve in termini di affetto, di benessere, ecc. ecc. Un valido sostegno alla realizzazione di questo recinto è dovuto peraltro allatteggiamento che noi disabili assumiamo nei nostri stessi confronti. Molto spesso abbiamo la tendenza ad accettare passivamente il fatto di essere considerati diversi, e accettando questidea, non solo scegliamo di rinchiuderci in noi stessi emarginandoci da soli, ma approfittiamo talvolta della nostra diversità, convinti che tutto ci sia dovuto in virtù del fatto che noi abbiamo dei problemi; questa è spesso la colpa dei disabili, pretendere di essere agevolati e di passare davanti agli altri, esaltando così la nostra diversità. Il bisogno di riscattarci ci induce a ritenere di aver diritto a piccoli riconoscimenti; feriti e delusi dalla vita, pretendiamo di essere premiati da una società, in cui, invece, dovremmo cercare di inserirci pienamente, mettendoci noi per primi in discussione, senza aver paura per questo di soffrire. In conclusione io penso che cambiare le regole sia possibile a partire dal principio dell'uguaglianza tra esseri umani. Naturalmente, ciò non significa negare che ciascuno ha le proprie caratteristiche che lo rendono diverso da tutti gli altri, ma affermare che tutte le persone hanno uguali diritti e uguali doveri. Confidiamo nei valori della democrazia e affrontiamo questi temi con serenità ed impegno senza tabù. Il dialogo resta sempre il modo migliore per giungere a soluzioni che portano benefici all'intera società; se noi partissimo dal presupposto che "diverso" non significa "inferiore", ci renderemmo conto che il rapporto che possiamo e dobbiamo avere con l'altro, é una relazione di trasmissione e ricezione, ognuno secondo le sue capacità. Allora sì che avremo la vera uguaglianza nei diritti e nei doveri auspicata da tutti e citata nellart. 3 della costituzione italiana. |
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