Il ventesimo secolo, secondo lo storico
inglese E. J. Hobsbawm, si è qualificato come il secolo più violento dellintera
storia dellumanità. Quello che Hobsbawm definisce anche come "Il secolo breve
(1914-1991) ", ha visto la rinascita delle guerre totali, simili in tutto e per tutto
alle vecchie guerre di religione. Era inevitabile dunque che in un periodo portatore di
una simile recrudescenza bellica, lormai imperante progresso scientifico-tecnologico
rimanesse estraneo. Comincia così a profilarsi un problema prima quasi inesistente: quale
comportamento etico debbono mantenere tecnici e scienziati durante il corso di una guerra
che coinvolga la loro stessa nazione. Bisogna innanzi tutto chiarire come, trattandosi di
un problema di natura etica, non sarò possibile lesistenza di una singola posizione
comune e non sarò oltremodo realistico stabilire con certezza dove stia il vero e dove il
torto. Detto ciò possiamo notare come le principali posizioni siano tre. La prima
posizione sostiene come uno scienziato, in caso di una guerra coinvolgente la propria
nazione, non debba, in alcun modo, partecipare alla ricerca condotta a fini militari,
così da evitare che le proprie conoscenze vengano utilizzate per la creazione, la
sperimentazione e lutilizzo di nuove armi. Quella appena esposta è senza dubbio una
forte e lodevole posizione morale, purtroppo non è sempre sostenibile, infatti, se uno
scienziato si rifiuta di collaborare, sarà qualcun altro a prendere il suo posto, magari
molto più disposto a scendere a compromessi ed a creare nuovi armamenti letali; è anche
possibile considerare come la nazione avversaria risulti essere una pericolosa e violenta
dittatura: in questo specifico caso, ladozione e lutilizzo della forza
potrebbero ancora rappresentare il male minore e la mediazione di un uomo di scienza
potrebbe risultare vitale per cercare, per quanto possibile, di limitare i danni. Anche la
posizione contraria è degna di essere menzionata: partecipare attivamente per creare
nuovi mezzi di offesa oppure d i difesa per il proprio paese può sembrare sì il miglior
mezzo per stabilire, a guerra finita, un mondo migliore, ma di sicuro mette in mano a
volubili politici armi che difficilmente saranno in grado di gestire. Senza contare che il
proprio paese potrebbe essere governato da personaggi non proprio pacifici e degni magari
di una doppia o tripla perizia psichiatrica. Risulta essere invece più comprensibile la
terza posizione che prendiamo in esame: uno scienziato decide di rimanere a lavorare
allinterno dei progetti militari per controllare e dirigere la ricerca, così che il
risultato sia poi mediato tra la voglia di avere armi sempre più potenti dei generali e,
si spera, la lucida umanità dello scienziato di turno. Queste sono le principali
posizioni assunte dagli scienziati mondiali sin ad oggi, ma ne potremmo considerare
infinite altre, spesso differenziate di pochissimo tra loro, Abbiamo cercato di
evidenziare come ognuna di esse non possa essere assolutizzata e considerata a priori
migliore delle altre. Emblematico ad esempio è il caso che coinvolse Werner Heisenberg,
scienziato tedesco che, rimasto in Germania, guidò la ricerca naturale Hitleriana.
Heisenberg, arrovellato da questi stessi problemi etici e terrorizzato dallidea che
gli alleati lanciassero bombe atomiche sulla Germania, continuò a collaborare, pur tra
mille segreti e sospetti (Fu addirittura interrogato più volte dalla Gestapo), con il
governo, salvo cercare in ogni modo di evitare luso puramente militare delle proprie
scoperte. Quando il ministro degli armamenti del Reich, Albert Speer, gli chiese di quali
finanziamenti necessitasse, Heisenberg chiese una cifra irrisoria, capace sì di mantenere
in vita al ricerca pura, ma non quella applicata. Ora, la figura di Heisenberg è in
realtà più oscura, data la complessità di quegli anni e la difficoltà nel compiere
ricerche darchivio, ma la fiducia nello scienziato Heisenberg, nelluomo
Heisenberg e nei dati raccolti sul suo atteggiamento, fanno supporre che la versione sopra
riportata sia quantomeno realistica se non reale. Nello stesso periodo giungeva a termine
anche il cosiddetto "Progetto Manhattan", la bomba atomica americana; i
risultati sono noti a tutti, due città distrutte, duecentomila morti almeno e una macchia
morale sullumanità intera. E vitale pertanto distinguere chiaramente tra
tedeschi e nazisti, tra buoni e cattivi, tra salvati e salvatori, aldilà di ciò che
insegna la storia scritta dai vincitori. Oggigiorno siamo tuttavia ancora fortunati, il
semplice fatto che ci sia un ampio dibattito aperto sul tema, fa notare come esso sia
visto come uno dei temi chiave dello sviluppo futuro del problema scientifico, vuole
significare che la progenie degli gnomi inventivi che Brecht inserì nella seconda
versione della sua commedia "Galileo", volendo con essi identificare tutti
quegli uomini di scienza che antepongono ai loro ideali la politica ed il potere, non ha
ancora attecchito allinterno delluniverso scientifico e che, tuttora, chi
desidererebbe una scienza ed una tecnica asservite al potere, incontra forti resistenze.
Risolvere un problema etico in modo univoco non è possibile, forse lunica soluzione
davvero realistica sarebbe quella di togliere acqua alla fonte, infatti, se noi lavoriamo
insieme per cercare di costruire un futuro di pace, avremo finalmente il modo per
risolvere i dubbi di migliaia di scienziati, dato che il vero problema non consiste tanto
nello sviluppo e nella progettazione degli armamenti, quanto dalluso che se ne
potrebbe poi fare. Nessuno scienziato degno di tal nome avrà più dubbi il giorno che
sarà sicuro che ogni sua scoperta verrà usata unicamente a fini positivi, ma forse, a
quel punto, che bisogno avremmo di costruire nuove armi, sempre più potenti, sempre più
distruttive, sempre più inumane? Non siamo in grado pertanto di elaborare una singola
risposta, se il futuro dellumanità sarà caratterizzato da una pace radiosa o da un
deserto atomico, tanto per citare Beckett diremo solamente
."Time will
tell
"