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Forbici, ago e
filo
di
Ghismunda
18 marzo 2005: sciopero
generale degli statali. Aderiscono anche i lavoratori della scuola.
Aderisco anch’io. Fuori c’è il sole. E’ una splendida giornata. Ma non
mi scalda, non mi consola. Giro un po’ tra Tg e televideo. Alla protesta
solo cenni fugaci e distratti. Alle ragioni della protesta della scuola,
nessun cenno addirittura. Nel dibattito pubblico attuale la bozza di
riforma della Moratti non c’è.
Al di fuori delle iniziative isolate ed in genere scoordinate di singoli
istituti condannati all’estinzione, di scuola in Italia non si parla.
Anche l’opposizione tace.
Che segno è? E’ solo una bozza, non se ne farà nulla, qualcuno dice. E’
già tutto deciso, con una maggioranza così, la riforma si fa, dice
qualcun altro. E forse ha ragione.
Insegno in una scuola dinosauro, uno di quegli istituti tecnici, ad
indirizzo programmatori, destinati a scomparire. Istituti che, oltre a
rilasciare un diploma professionalizzante e quindi a rendere possibile
l’inserimento immediato nel mondo del lavoro, garantiscono anche
l’accesso all’Università. Spariranno, per confluire, ma solo in parte,
in Licei annacquati, tagliuzzati alla buona sul modello gentiliano di un
liceo classico inossidabile nel suo ruolo di scuola leader. Se non più
nella sostanza, sicuramente nella fama.
Si torna al passato, ma in peggio. Perché la liceizzazione della scuola
pubblica è stata fatta con le forbici. Di tutto un po’, ma poco,
tagliando ore e materie: l’informatica non c’è più (non traggano in
inganno le tre ore di “Matematica/Informatica” del biennio del Liceo
economico: si tratta di matematica e basta), l’inglese è stato già
dimezzato alle scuole medie; non resta nemmeno l’impresa delle tre
famose i berlusconiane, perché, sempre nel Liceo economico, l’economia
aziendale subisce un ridimensionamento di 21 ore! Naturalmente, tagli di
ore e materie implicano tagli di posti di lavoro: degli attuali 240.000
insegnanti della scuola secondaria superiore (77.000 nei licei, 86.000
nei tecnici, 67.000 nei professionali e 10.000 negli artistici) la Cgil
stima una perdita di posti che oscilla da un minimo di 57.000 ad un
massimo di 84.000. E chi resta, dovrà insegnare, come già accade, anche
materie non strettamente legate alla propria specializzazione, in uno
“spezzatino” di ore e funambolici completamenti orari, che buttano alle
ortiche la tanto auspicata (a parole) continuità didattica.
Dopo le forbici, ago e filo. A mettere insieme i ritagli di un sapere
frammentato e diviso, bisognoso di integrazioni e puntelli perché ne
venga fuori un percorso formativo degno di questo nome. Lo Stato si farà
carico del cosiddetto livello essenziale di prestazione (LEP).
Gli insegnamenti opzionali, sia obbligatori che facoltativi, dovranno
essere coperti dal Fondo di Istituto, da famiglie abbienti e generose,
da sponsor privati. Non si tratta solo di creare scuole di serie A e
scuole di serie B, scuole per i ricchi e scuole per i poveri; non si
tratta solo di assestare un colpo definitivo ad un’istruzione da cui il
ministro ha tolto, come primo e significativo atto del suo insediamento,
l’aggettivo “pubblica”. Non è “solo” questo. Qui si sta violando la
Costituzione, quell’art. 3 che è uno dei più belli usciti dal cuore e
dalla testa dei nostri padri costituenti:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la
effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del paese”.
Ai Licei si affianca l’Istruzione e Formazione Professionale (IFP.
Di cui ancora non si sa nulla. Quel poco che si sa è la spia della
volontà di dividere i futuri cittadini tra teste pensanti e mani che
lavorano, tra classe dirigente e classe subalterna. Chi lavora non ha
bisogno di tanta scuola. Ed infatti, il sistema di formazione
professionale è fortemente ridimensionato nelle “ore di scuola”, che
passano da quaranta a trenta settimanali, delle quali un quarto
facoltative e un quarto on the job… Manovalanza precoce e
gratuita, gestita direttamente dalle Regioni.
E’ la scuola “devoluta”, la scuola che divide. La scuola che non offre a
tutti le stesse opportunità e che impone scelte precoci, nettamente
differenziate, spacciate come reversibili con l’inganno delle
“passerelle”. E’ una scuola da rifiutare. In blocco.
Voltaire insegnava con il suo Candide a “coltivare il proprio giardino”.
Volendo assumere questa problematica espressione nel suo senso peggiore,
ossia come un badare al proprio tornaconto, da insegnante di materie
umanistiche, quale sono, non mi dovrei lamentare. Io non perdo ore,
anzi, le guadagno. Il mio settore si amplia anche per l’ingresso di
materie quali la filosofia e l’arte nell’impianto generalizzato dei
Licei. Plaudo all’ingresso della filosofia. Secondo me un percorso che
punta a formare teste pensanti non può farne a meno. E la filosofia,
oltre che una materia, è un bisogno, una necessità esistenziale, che, a
partire dall’adolescenza, contribuisce a portare alla luce domande
inespresse ed a farci trovare risposte critiche e personali. La
filosofia crea uomini liberi.
Ma appunto. Sta solo nei Licei.
Chi è destinato a lavorare, non deve pensare. Con buona pace di Gramsci
e di quanti vedono il sapere come un sistema, una rete, in cui tutto si
tiene, in cui la dimensione umanistica procede di pari passo con quella
tecnico-scientifica, in cui teoria e pratica sono solo le due facce di
uno sviluppo armonico ed unitario della personalità.
«La maggior parte degli uomini sono filosofi in quanto operano
praticamente e nel loro pratico operare è contenuta implicitamente una
concezione del mondo, una filosofia»
Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, 10, II.
No, decisamente la riforma non va in questa direzione. Per unire e
formare, le forbici sono uno strumento sbagliato. E ago e filo
rattoppano soltanto ciò che è stato rotto per sempre.
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