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Oggi scuola?
di Sergio Tardetti
Sono le ore 7:56 di
venerdì 16 agosto 2030. La vacanza estiva è appena terminata e
l’attività di informazione riprende, esattamente tra quattro minuti.
L’ultimo turno di lavoro del trascorso Anno Informativo è stato appena
due giorni fa, il 14 agosto. Mi sento stanco, la vacanza estiva non ha
dato i benefici effetti sperati: forse, a ottanta anni compiuti,
dovrebbero consentire di ritirarmi. Ormai però non saprei che fare del
tempo libero, sono talmente disabituato ad averne che non ne ricordo più
nemmeno il significato o la funzione. Che ci faccio qui? E’ una domanda
che di tanto in tanto mi pongo, nelle pause della mia attività di
e-tutor, scrutando il mondo dall’alto di questo faro, che scelsi molti
anni fa come luogo di ritiro, dal quale poter svolgere la mia
inconsistente attività di Informatore Scolastico. Ci sarà ancora, da
qualche parte, una scuola, come quella che ricordo, nella quale ho speso
così tanta parte della mia esistenza? Da qui si scorge solo la vasta
distesa del mare, a volte piatta e desolata come un triste deserto, a
volte inquieta e inquietante come lo spirito della notte. Intorno a me,
nell’ampio salone circolare che, un tempo, ospitava la lampada del faro,
sono disposti numerosi monitor e terminali di reti di computer,
attraverso i quali mi giunge la voce del mondo. E’ difficile comprendere
quali profonde mutazioni hanno condotto quella che un tempo veniva
chiamata “scuola” ad assumere la forma attuale. Tutto ebbe inizio circa
venticinque anni fa. Si cominciò, allora, a sperimentare una specie di
attività di formazione / informazione, che ben presto, grazie anche ai
ridotti costi di gestione, assunse una consistenza sempre più cospicua.
Nell’arco di cinque anni, con l’aiuto di tecnologie di comunicazione
sempre più potenti ed affidabili, si giunse a coprire oltre il trenta
per cento delle tradizionali attività didattiche con questi mezzi. Le
aule iniziarono a vuotarsi, gli allievi preferivano rimanere a casa e
collegarsi al Sistema di Formazione Nazionale di quando in quando,
secondo i loro interessi e i loro ritmi di apprendimento. La Grandi
Riforme di inizio millennio avevano notevolmente contribuito a
destabilizzare prima, e a frantumare poi, quello che era stato ritenuto,
per lungo tempo, un sistema formativo efficiente e all’altezza della
situazione. Centinaia di migliaia, milioni di professionisti delle più
disparate specializzazioni erano stati, nel corso di molti decenni,
adeguatamente forniti delle necessarie competenze per affrontare studi
più complessi nelle aule universitarie o per un utile e concreto
inserimento nel mondo del lavoro qualificato. Ad un tratto, come lo
schianto di un enorme meteorite, si abbatté sul mondo della scuola la
Grande Riforma, sollevando la sua grande nuvola di polvere che avviluppò
nella confusione più totale le ordinarie e quotidiane attività
didattiche. Centinaia di migliaia di professionisti della formazione,
inizialmente declassati a semplici “lavoratori della conoscenza”,
cominciarono a percorrere la strada della precarietà, assunti con
contratti a termine di durata annuale, anche quando prima erano stati
inseriti stabilmente nell’organico dell’Istituto. Per molti di loro, me
compreso, iniziò, a causa dell’infausta Riforma delle pensioni, una
rincorsa per raggiungere l’agognata meta della quiescenza: una rincorsa
predente in partenza, giacché il perverso meccanismo della Riforma e
delle sue successive modificazioni faceva sì che, giunti quasi alla
meta, la si vedeva allontanare di un ulteriore periodo di tempo, e così
ancora e ancora, senza mai veramente giungere in porto. Nel frattempo, i
pochi superstiti, sopravvissuti alla scure dei tagli all’orario
scolastico e a quelli delle classi, per le quale venne consentito il
superamento del numero di novanta allievi, venivano destinati a servizi
di supporto alla formazione, come reperire e distribuire in rete le
risorse informative richieste dal singolo studente. Era nata la scuola
“a richiesta” (quelli che avevano maggior dimestichezza con le lingue
dicevano: “on demand”); ogni “insegnante” – ancora per qualche tempo si
sarebbe usato questo termine – non faceva più capo ad una singola e
specifica disciplina, ma ad una intera area tematica. L’assegnazione dei
“docenti” – altro termine che sarebbe presto caduto in disuso – veniva
effettuata sulla base di tre fattori, di solito mutuamente esclusivi:
competenze, necessità e caso. Aboliti i titoli accademici come criteri
per l’assegnazione alle “cattedre” – termine cancellato dai vocabolari
nell’anno 2013 – si passò a vagliare tutte le “competenze” acquisite da
ciascuno nel corso della sua esistenza. In virtù di una mia discendenza
da un addetto ai servizi di smaltimento rifiuti, regolarmente
certificata, mi fu assegnato, tra gli altri, l’incarico di “informare” –
anche il concetto di “fare lezione” o del suo sinonimo “fare scuola” era
già stato trasformato in pura metafora, per decreto, nell’anno 2011 –
sulle “Problematiche ambientali connesse al trattamento dei cosiddetti
RSU”. Questo divenne, inizialmente, il nome del mio nuovo insegnamento,
o meglio, della mia nuova “attività di informazione”. Poi, per cause
naturali, si rese disponibile l’attività di informazione di “Processi di
correlazione tra reti di distribuzione di documenti non cartacei”.
Poiché, per caso, mi trovai presente all’evento che ci aveva privato del
legittimo titolare dell’attività informativa, la Direzione Suprema mi
ritenne idoneo ad assumere il nuovo incarico. Nel frattempo,
dappertutto, in quelle che un tempo si erano chiamate “Istituzioni
scolastiche” si provvedeva a formare una nuova classe di “informatori”,
la cui consistenza decresceva progressivamente e le cui “competenze”
andavano crescendo in proporzione inversa. Quando il numero degli
addetti divenne troppo ridotto per consentire loro di occupare ancora
quegli edifici, conosciuti un tempo con il nome di “scuole”, si
procedette alla loro ridistribuzione sul territorio, assegnando a
ciascuno dei superstiti un’area sempre più grande da controllare e
servire. Si individuarono strutture collocate in posizioni strategiche e
baricentriche rispetto all’area affidata a ciascuno; in quei luoghi si
impiantò una nuova attività di “informazione” a distanza, affidata a
ciascuno dei “depositari”, il cui compito divenne sempre più
automatizzato, grazie anche alla notevole quantità di “oggetti di
apprendimento” ormai disponibili nei grandi repositori. Attualmente,
dopo avere collezionato cinquantadue “attività di informazione”, delle
quali sono titolare unico ed esclusivo, sono stato collocato, insieme a
tutte le apparecchiature di erogazione dei servizio, in questo luogo
fuori dal mondo, dal quale ricevo messaggi di richieste di informazioni
su ciascuna delle mie cinquantadue competenze, che provvedo regolarmente
a soddisfare. Molto tempo è passato dall’avvento della Grande Riforma:
la polvere degli anni ha ricoperto oggetti, materiali, edifici un tempo
utilizzati per trasmettere la “cultura” – altro termine estinto intorno
all’anno 2015. Solo pochi di noi sopravvivono tra quanti avevano operato
come “formatori”: sappiamo della nostra reciproca esistenza attraverso
il “Bollettino Ufficiale degli Informatori”, aggiornato settimanalmente,
a causa dell’età piuttosto avanzata di molti di noi. Ogni settimana
sappiamo quanti siamo e chi è rimasto. Per il resto, non ci vediamo da
oltre dodici anni. L’ultimo incontro fu deciso dal Dipartimento Centrale
dell’Informazione, per assegnare a ciascuno di noi le nuove, definitive
destinazioni. Fu allora che scelsi questo faro: lo scelsi per il suo
significato simbolico, con la speranza e con il desiderio che potesse
illuminare l’orrenda notte che avvolge con le sue ombre impenetrabili il
mondo della conoscenza. Intanto, mentre rispondo all’ennesima richiesta
di informazioni su “Fisica utopica dei mondi virtuali multidimensionali
inanimati”, accarezzo le pagine di questo volume: vere pagine di vera
carta, sopravvissute al Grande Riciclaggio del 2022, una data e un
evento che non dimenticherò mai. Si prese a pretesto il fatto che,
ormai, tutta l’informazione era depositata e trasferita nella Rete e che
l’ennesima crisi energetica stava per provocare una serie di
insostenibili cadute di tensione nel sistema, cosa che ne avrebbe potuto
compromettere per sempre la stabilità. Questo era quanto si affermava
nel decreto, che obbligò a portare tutti i materiali cartacei ai centri
di raccolta e riciclaggio, dove sarebbero stati convertiti in
combustibile. Riuscii ad occultare, non so come, questo unico testo,
documento superstite di un passato dove Conoscenza e Dignità umana erano
due facce della stessa medaglia. E’ una vecchia edizione economica di
un’opera immortale della nostra letteratura: al solo evocarla in questo
scritto, sento rifluire le energie di un tempo, il battito si fa più
frequente e l’emozione sale fino al ciglio del mio occhio. Apro il
volume e, quasi d’istinto, lo sguardo si posa sulla pagina, una pagina
consunta dall’uso, la stessa pagina letta e riletta indefinitamente.
Ripercorro ancora una volta, portandole alle labbra, le parole scolpite
dal nero dell’inchiostro sul bianco del foglio: “… fatti non foste a
viver come bruti / ma per seguir virtute e conoscenza.” Sono le ore
8:00 di venerdì 16 agosto 2030: chiudo il libro e lo appoggio sopra il
monitor che mi sta di fronte, mentre il suono di quelle parole sembra
riempire tutto lo spazio che mi circonda. Accarezzo ancora una volta le
pagine, poi accendo il computer. Adesso sono pronto.
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