agli incroci dei venti

 
 

Psiche e Techne

Psicosi e televisione (2)
 

di Angelo Moroni

 
 

“Fino a non molto tempo fa, ve lo ricorderete, tenevamo la televisione accesa e nel frattempo ci facevamo un caffè, rammendavamo un calzino, facevamo del sesso; oggi noi siamo seduti lì, davanti immobili e dentro lo schermo si fanno un caffè, rammendano un calzino e fanno del sesso”

Sabina Guzzanti (Reperto Raiot, Rizzoli, 2005).
 


Perché esiste questo parallelismo così netto tra psicosi e televisione? Innanzitutto perché la caratteristica principale, il parametro, l’invariante funzionale che caratterizza entrambi i fenomeni è quello di porsi in conflitto distruttivo con il pensiero. Se, come afferma Bion, la “mente è un apparato per pensare i pensieri”, la malattia psicotica è una ribellione permanente, onnipotente e onnipervasiva contro tale apparato. Anzi, diciamo che desidera distruggere, tale apparato, sostituendolo con un altro, fatto di immagini alternative alla realtà (l’allucinazione), e di convinzioni erronee (il delirio). L’uso che si fa della TV è isomorfo a tale struttura, nel senso che la TV si è da tempo ormai immemore, completamente sostituita alla realtà. Di più: essa è una realtà “altra” cui consentiamo di entrare in casa nostra, 24 ore su 24. Una realtà fatta di desiderio sempre allucinato, mai reale, e che tende a generare convinzioni totalmente svincolate dall’asse temporale su cui si fonda la memoria, e di conseguenza il pensiero. Il “pensare” mette in scena un distacco, una separazione, e proprio in funzione di tale “vuoto”, si dà pensiero, altrimenti assistiamo semplicemente a un amorfo, liquido e continuativo scorrere di immagini (come accade in TV) che portano il segno di un atto feticistico, dove l’immagine è lì per se stessa, e non si pone come evocazione, rimando, ma come statico peso autoreferenziale. Ci si potrebbe tuttavia domandare come è possibile che la tv possa diventare generatrice di pensiero (nel caso del “pubblico” ricevente) se questo sfondo depressivo-luttuoso del distacco (il “lutto originario” di cui parla Sassolas) è forcluso psicoticamente, dalla fruizione televisiva. E’ una domanda centrale. Infatti la in-cultura post-moderna tende, come sua strategia di base, a nascondere artatamente questo aspetto, che è come dire cancellare la memoria (le immagini sono sempre, per così dire “in diretta”) per cancellare-non soffrire-il lutto. La TV-come-psicosi tende a sostituire il lavoro continuo del lutto, attraverso cui, nel corso del tempo, decanta l’atto di pensiero , con “superfici” piatte e liquide, generando l’illusione onnipotente dell’assenza del dolore, cioè del piacere, dell’immagine continui. E’ un illusione, appunto feticistica, che a voler ben guardare, ha somiglianze incredibili con una configurazione tossicomanica, psicotica dove “la roba” assume un significato di feticcio, che garantisce l’illusione di una potenza sempre perennemente ai massimi livelli. Per ottenere tale effetto, la cultura televisiva, lavora malignamente sul confine delicato e soffuso tra lutto e creazione, operando principalmente attraverso gli strumenti della scissione, della scotomizzazione e dell’iperstimolazione. Nel prossimo editoriale studieremo più da vicino tali meccanismi patologici.

 

 

(Continua)
 

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6/05/05

 

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