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Quando la pace sembra impossibile
di Beatrice Luccardi
Nonostante gli accordi di
pace, nell'Est del paese continua l'azione dei gruppi ribelli e l'occupazione da parte
dell'Uganda e Rwanda.
Secondo il rapporto dell'Irc, un'Ong statunitense, i morti di stenti e di violenza nella
guerra congolese, che dura dal 2 agosto '98, sono tra i 3,3 e i 4,7 milioni.
Tre rapporti dell'Onu mostrano le connivenze di precisi poteri politici ed economici:
internazionali, regionali e locali.
Il 28 maggio, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha deciso l'invio di una consistente
forza internazionale incaricata di ristabilire l'ordine a Bunia.
Il processo di pacificazione della Repubblica democratica del Congo (ex Zaire) continua ad
essere contrassegnato da paurosi alti e bassi. Tra il settembre 1996 e il 2 agosto 1998,
questo paese è stato teatro di due guerre con un bilancio di tre milioni e mezzo di morti
solamente negli ultimi cinque anni.
Dopo la conclusione dei negoziati e l'introduzione a Kinshasa delle prime autorità ad
interim, rimangono alcuni importanti nodi da sciogliere: il conflitto politico-etnico
fatto esplodere nell'Ituri (Provincia Orientale), l'effettiva volontà di pace
dell'Rcd-Goma e del suo "grande fratello", il Rwanda, la capacità di
rinnovamento della classe politica congolese.
La popolazione, in particolare quella del Kivu e di tutto l'Est del paese, è stremata da
sette anni di quasi ininterrotto stato di guerra. Già due anni fa, gli organismi
internazionali denunciavano che, in alcune zone del Kivu, un bambino su tre era orfano di
uno o di entrambi i genitori e che le violenze, la malnutrizione e le malattie stavano
mietendo innumerevoli vittime.
A ciò va aggiunta una spaventosa - sebbene per ora non censibile - diffusione dell'Aids.
Lo spargimento dell'infezione, già presente nel Congo Kinshasa, è stato incrementato dal
passaggio delle soldatesche, in particolare quelle ugandesi e rwandesi, e dei gruppi di
irregolari, nonché dall'uso dello stupro come arma di guerra (in particolare nel
territorio controllato dall'Rcd-Goma, come denunciato fra l'altro da Human Rights Watch in
un documentato rapporto dello scorso anno).
A peggiorare la situazione delle popolazioni del Kivu sono state le grandi ondate di
profughi giunte dalle zone rurali o dalle regioni vicine. I residenti hanno infatti
accolto i parenti sfollati, in genere fuggiti con l'intero nucleo familiare, e la loro
ospitalità ha evitato il costituirsi, laddove possibile, dei campi profughi con connessi
problemi socio-igienico-sanitari.
Ciò ha però comportato due gravi effetti negativi: l'aumento vertiginoso degli abitanti
dei maggiori centri urbani (Butembo è, ad esempio, passata da meno di 200mila a quasi
400mila persone) e il drastico peggioramento delle già difficili condizioni di vita. Gli
organismi e le agenzie internazionali, del resto, sono abituati ad intervenire in favore
di campi e altre forme di raggruppamento, ma non a sostenere chi, seppur con risorse
limitate, accoglie degli sfollati.
La questione dell'Ituri
Il conflitto a Bunia e nel resto dell'Ituri ha come principali antagonisti i lendu, gli
hema e rispettivi alleati.
In un lontano passato, le due comunità si erano scontrate a causa di dispute terriere
generate dalle opposte necessità: tradizionalmente gli hema sono allevatori di bovini,
mentre i lendu coltivano la terra. Poi, nell'allora Zaire, seguì un lungo periodo di
convivenza sostanzialmente pacifica fra i due gruppi.
La loro contrapposizione, riemersa nell'estate 1999 e subito denunciata da vari esponenti
della società civile congolese, è degenerata nell'indifferenza della comunità
internazionale. Si stima che sia costata la vita a circa 50mila persone e abbia costretto
alla fuga 500mila civili. Allo stato attuale, l'unica soluzione è l'auspicato
dispiegamento di una forza multinazionale d'interposizione che, di sostegno ai caschi blu
della Monuc, dissuada gli estremisti dal proseguire la lotta armata e li costringa a
consegnare le armi.
Tentando un'analisi del conflitto, si rileva come i miliziani hema appartengano in larga
parte all'Upc (Unione dei patrioti congolesi) di Thomas Lubanga, alleato dichiarato
dell'Rcd-Goma e quindi del Rwanda. Le leadership dei tre alleati, nonostante le
dichiarazioni di Kigali circa l'appiattimento delle appartenze etniche, sono tutte di
gruppi di origine nilotica: il presidente rwandese Paul Kagame è un tutsi, Azarias
Ruberwa, uomo forte dell'Rcd-Goma che l'ha nominato come suo vice-presidente di
transizione, è dei banyamulenge (tutsi rwandesi emigrati in Congo oltre un secolo fa) e
lo stesso nome degli hema attesta gli stretti legami di parentela con gli altri.
I lendu, invece, si sono giocoforza associati all'Rcd-Kisangani-Movimento di Liberazione
(Rcd-Kis/Ml) di Mbusa Nyamwisi, che da oltre un anno coopera attivamente con Kinshasa
sulla base degli accordi di Sun City 2002 e dei successivi Trattati di pace.
La guerra, esplosa il 2 agosto 1998, ha sancito però il controllo della regione da parte
dell'Uganda, co-fautore insieme al Rwanda di entrambe le guerre congolesi. A Kampala
interessava lo sfruttamento dei grandi giacimenti minerari della Provincia Orientale e del
Nord Kivu, a partire dall'oro di Kilomoto, dai diamanti e dal coltan. La Provincia
Orientale presenta inoltre - come sottolineato anche nei tre rapporti Onu sul saccheggio
delle risorse congolesi - ampi tratti di foresta pluviale, dalla quale è possibile
ricavare legnami del valore dell'ebano. A rendere ancora più "appetibile" il
suo territorio, vi sono l'uranio e la recente scoperta di giacimenti di petrolio proprio
nei pressi del confine con l'Uganda.
Per poter mantenere il controllo sulla popolazione sottomessa, alcuni comandanti ugandesi
hanno ripreso la strategia coloniale del "divide et impera" (della quale il
vicino Rwanda ancora risente pesantemente), rinfocolando la contrapposizione tra hema e
lendu. Nell'indifferenza generale, la situazione è degenerata in tragedia finché,
nell'aprile 2001, l'uccisione di un gruppo di sei operatori della Croce rossa
internazionale (un colombiano, un'elvetica e quattro congolesi) ha portato l'Ituri alla
ribalta della cronaca internazionale.
Nella primavera di quest'anno, nella quale si sono registrate svariate battaglie per il
controllo della regione e centinaia di morti nella sola Bunia, sono stati uccisi due
caschi blu della Monuc, uno della Giordania e uno del Malawi, e due volontari della Croce
rossa, colpiti a morte nonostante indossassero il contrassegno umanitario.
Rcd Goma: il nodo da sciogliere
Fino a quando l'Rcd-Goma, ribellione strettamente alleata al Rwanda, potrà continuare ad
ostacolare il processo di pacificazione della Repubblica democratica del Congo? È quanto
si chiedono i fautori della transizione che, entro il 2005, dovrebbe portare alla
reintroduzione di un regime pienamente democratico nell'ex-Congo Belga. Tra i recenti
exploit del movimento ribelle che, con base a Goma (Nord Kivu) controlla il sudest del
Congo e la città di Kisangani, vi sono stati l'invasione del distretto di Lubero
(assegnato in sede negoziale all'Rcd-Kis/Me), l'ennesimo ritiro dalle istituzioni preposte
alla transizione e l'impedimento, nel maggio scorso, dell'atterraggio a Bukavu-Kavumu
dell'aereo che trasportava una delegazione inviata da Kinshasa.
Sulla pista di Kavumu erano stati volutamente posizionati camion e altri automezzi; il
comandante del velivolo non ha potuto far altro che riprendere quota e allontanarsi. Nel
frattempo, l'Rcd-Goma aveva ordinato a tutti gli altri aeroporti sotto il suo controllo di
impedire l'atterraggio della delegazione, che ha poi rimesso piede a terra solamente a
Mbuji Mayi. La folla che si era radunata per festeggiare la ripresa della libera
circolazione sul territorio congolese - accordata, già da molto tempo, dai negoziatori -
è stata quindi dispersa con violenza dalle locali forze di polizia. Diverse persone sono
rimaste ferite.
Intanto nell'entroterra della provincia la popolazione viene sottoposta a continue
violenze e scorrerie da parte dei militari di Goma e dei soldati rwandesi presenti nel
Kivu, nel Sud come nel Nord, in barba a tutti gli accordi di pace e le risoluzioni
dell'Onu.
Ma per quanto tempo, si chiedono gli osservatori indipendenti, il movimento filorwandese
potrà osteggiare il processo di pace e ignorare le sollecitazioni in favore della pace
espresse dalla comunità internazionale? Parafrasando Cicerone, la domanda si potrebbe
formulare così: fino a quando, Rcd-Goma, approfitterai della pazienza dei congolesi,
dell'Onu e della comunità internazionale?
Politici: tutto da rifare?
Una volta risolti i problemi strettamente bellici, per pacificare l'ex-Zaire sarà
necessario poter contare sul rinnovamento della classe politica che ha molto risentito dei
sistemi di mantenimento del potere tipici del periodo mobutista. Tra questi, il principale
è stato la corruzione, che ha dato luogo a fenomeni quali il finanzamento più o meno
occulto di alcuni schieramenti politici definiti d'opposizione. Si sa di un importante
partito che, ad esempio, godeva di una percentuale sui dividendi della compagnia mineraria
zairese, la Gecamine.
"Ancora oggi molti congolesi ritengono che la carriera politica sia da preferirsi
alle altre, in quanto costituisce un'attività molto redditizia", aveva a suo tempo
osservato il prof. Jacques Depelchin, luogotenente di Ernest Wamba Dia Wamba.
Ma dove trovare uomini e donne "nuovi"? Molte speranze sono riposte nella
società civile che, formatasi grazie anche all'impegno della chiesa cattolica dell'allora
Zaire, ha dimostrato una grandissima forza e determinazione, soprattutto nei momenti più
bui di questi ultimi anni. Molti chiedono che proprio dalle associazioni e dai gruppi che
la compongono vengano selezionati uomini politici nuovi, in grado di perseguire il bene
comune invece di quello personale.
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