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IL POLIZIOTTO FASCISTA. I gialli di regime di Carlo Brighenti e
Romualdo Natoli
In un primo momento andò tutto liscio, trattandosi di libri senza nessuna pretesa, almeno apparente, di critica sociale, senza nessun aggancio politico. Alla fine, il bene vinceva sempre sul male, e per un po' questo parve bastare ai censori fascisti. Le limitazioni vennero dopo. Un giorno arrivò l'ordine di non parlare di suicidi. Evidentemente, il regime pensava che togliersi la vita fosse una debolezza indegna del saldo carattere littorio. E così, per amore del Giallo, quando capitava l'occasione mi mettevo al tavolino e trasformavo i suicidi in incidenti stradali, o in accidentali cadute dalla finestra. Poi, a un dato momento, diede nell'occhio che alcuni romanzi polizieschi, specialmente americani, presentavano criminali di origine italiana. Altro intervento censorio, e noi dovemmo ricorrere all'espediente di cambiare le nazionalità dei criminali, regalandoli, a seconda della convenienza, all'America Latina, alla Spagna, alla Francia. Il regime intervenne una terza volta, in nome della cultura nazionale, imponendo la pubblicazione di un Giallo italiano almeno ogni quattro o cinque stranieri. Questo si risolse in parte in un beneficio, perché ci permise di scoprire e incoraggiare giallisti di casa nostra. ( ) La tela calò nel 1941, quando un gruppo di giovani della buona borghesia milanese tentò una rapina alquanto maldestra. Acciuffati, gli aspiranti rapinatori dichiararono di essere grandi lettori di Gialli. Anzi, di essersi ispirati a un Giallo per organizzare il colpo. A questo punto, Mussolini intervenne personalmente e, attraverso il Minculpop, decretò la chiusura della collana. Fino al 1946 di Gialli, non si parlò più 4. Tra la tolleranza degli inizi e la soppressione decretata nel 1941, c'è un interregno in cui il regime cercò di utilizzare ai suoi scopi questo genere letterario di successo, che godeva di grande popolarità presso lettori di ogni estrazione sociale e cultura. Il problema era dibattuto; nel 1939, in un articolo, il giornalista Emilio Radius, auspicava che si riuscisse a dare al nostro Paese "un modellino originale, nostrano, di romanzo giallo, o poliziesco, o semplicemente di avventure: e di risolvere così quest'altro problema autarchico". Interrogandosi su come dovesse essere questo prodotto nazionale, rispondeva: "Non sofistico, non meccanico ( ). Dovrebbero poterci mettere mano il buon senso, l'umanità, la psicologia, la grammatica, la sintassi e -perché no?- il gusto della lingua italiana" 5. E aggiungeva: Il problema del romanzo giallo è un problema autarchico ed è un problema morale. Il romanzo giallo italiano, se è destino che si debba scrivere anche noi romanzi gialli, per non importarne troppi e per non importare, con la carta stampata, costumi, usi e vezzi, dovrebbe uniformarsi al vero ragionevolmente drammatizzato e non cadere in una manieraccia dalla quale è poi impossibile spremere una stilla di commozione o di interesse non effimero: ingegnarsi di descrivere davvero la lotta della giustizia contro la delinquenza, fare un uso prudente ed accorto dei necessari artifici e lasciar posto alla realtà 6. Il nuovo
romanzo giallo d'ispirazione italica avrebbe dovuto svolgere, dunque, una funzione
essenzialmente educativa e didascalica, farsi portavoce del credo politico imperante, col
compito di diffonderne e divulgarne i principi in forma semplice e chiara per tutti.
Nell'accezione fascista, infatti, l'arte "è considerata non solo uno strumento di
propaganda, ma anche un mezzo importante per la modifica della realtà ed in particolare
per la creazione dell'uomo adatto al regime. L'arte non doveva rispecchiare la realtà,
quanto piuttosto la rappresentazione che ne veniva data dal potere politico" 7. A rispondere all'appello, dando vita ad
una operazione preminentemente propagandistica e solo in seconda istanza letteraria,
furono pochi e perlopiù figure di secondo piano; ci fu chi, per servilismo, inserì
qualche omaggio al Duce e al suo operato, innestandolo in maniera pretestuosa e posticcia
all'interno di trame che con la politica nulla avevano a che fare. E' il caso, ad esempio,
di un feuilleton poliziesco di Ferruccio Buratti, La strega bianca (Milano, Mondadori,
1941) incentrato su un commercio illegale di cocaina (lo ha citato anche Rambelli), in
cui, ad un certo punto, si elogia l'energica azione repressiva del governo italiano in
materia, concludendone che il popolo italiano per fortuna è sano e non è portato a tali
vizi. Erano questi, però, ancora casi isolati; a produrre con ben altra determinazione
romanzi polizieschi "politicizzati" furono, invece, i già citati, Carlo
Brighenti, cronista sportivo e direttore di collane gialle per alcuni editori minori, che
si cimentò scrittore in una mezza dozzina di romanzi di scarso pregio, e Romualdo Natoli,
prolifico autore di libri avventurosi e polizieschi (il Dizionario bibliografico del
giallo, a cura di R. Pirani e M. Mare, ne conteggia oltre venti), più professionale e
incisivo, e anche più rabbiosamente impregnato di fervore ideologico e antisemita. Comune
obiettivo di entrambi era presentare l'uomo fascista (o nazista, nel caso di Natoli) come
elemento sano della nazione, araldo dei tempi nuovi, modello per tutti i giovani. La visita agli spogliatoi ( ) durò poco. Nulla di particolarmente notevole essi presentarono agli sguardi del poliziotto, ove si eccettui un biglietto di seconda classe che Orazio scorse sotto il lavabo della cameretta dell'arbitro. ( ) Lo raccolse e se lo mise in tasca. Nell'attività di poliziotto i casi fortuiti contano. Orazio scorgendo quel pezzo di cartoncino bianco sentì che "doveva" raccoglierlo. Il custode vide il suo gesto e non mostrò la minima sorpresa: hanno delle idee così strane questi poliziotti!, egli pensò certamente 14. Nel servizio, quando necessita, sa essere audace, sempre consapevole della gravità del suo compito, mai dimentico del suo ruolo gregario, rotella di un meccanismo che funziona solo se ognuno sa rimanere al suo posto con spirito di corpo e non è mosso da ambizioni personali. Infatti, tiene in gran conto i consigli del suo diretto superiore, rispettando la gerarchia come un suo dovere indiscutibile: Il Capo, voleva bene a Grifaci e lo stimava assai. Ma anche il giovane poliziotto sentiva per il Capo una di quelle profonde affezioni fatte di amorevolezza e di entusiasmo, di gratitudine e di fiducia, che si accompagnano spesso in un temperamento italiano. Non è la cieca soggezione nordica, non è la fredda forma di ineccepibile rispetto inglese, non è nemmeno la prorompente ed entusiastica dedizione francese ma è qualcosa di meglio e di più alto: c'è insomma qualche cosa del soldato e del figlio in un italiano che ama un superiore 15. Questo carattere italico, che armonizza una calda e simpatica umanità con un senso alto della responsabilità personale, è frutto, secondo lo scrittore, sia della naturale propensione del nostro popolo che del rinnovamento morale che la temperie del momento storico ha impartito al Paese. La generazione che si è formata nel primo dopoguerra ha dovuto compiere ineluttabilmente scelte fondamentali, che l'hanno temprata e nel contempo purificata: Erano quelli i tempi nel quale fare lo studente riusciva estremamente difficile. La bufera, placatosi miracolosamente nelle trincee, era esplosa nelle vie, ed i giovani, i giovani sani intendiamo, ne erano abbacinati. Illuminata di riflesso per più di tre anni dalla immensa luce della guerra, la gioventù italiana, improvvisamente si trovò avvolta dalle fiamme della Rivoluzione Fascista. Quali fati propizii ebbe subito questa Rivoluzione! Un Capo e dei Martiri! ( ) Orazio fu così fascista 16. Nel pensiero dell'autore il fascismo non è che il compimento della missione storica del popolo italiano, cominciata con la lotta patriottica del Risorgimento; in diversi suoi romanzi, infatti, non manca di ribadire questo filo ideale, rammaricandosi però della scarsa memoria della gente, che sembra aver scordato quei passati sacrifici. Non a caso, Brighenti ambienta le sue vicende poliziesche nelle zone vicine al Lago di Garda che furono teatro di importanti battaglie risorgimentali, in particolare a San Martino; in L'assassinio del campione, scrive: Allora, vedete, S. Martino aveva una certa importanza storica grazie alla battaglia del '59 che si svolse sui colli. Ma ora, dopo la guerra europea, i pellegrinaggi eroici si sono spostati altrove, nel Trentino, nella Carnia, sul Carso all'Adamello Sta ormai diventando un glorioso rudere abbandonato, questo S. Martino, cosa del resto che capita anche a Solferino 17. Insieme al mito risorgimentale, nella poetica dell'autore (se così la si può chiamare), ha largo spazio il mondo dello sport, concepito come la sede naturale di uno spirito competitivo sano e pulito, ammaestramento di vita per i giovani: E' il destino dello sport quello di precorrere la diplomazia. La proposta di un uomo politico straniero di gettare le basi per una prossima Confederazione degli Stati Uniti di Europa, è caduta miseramente. La proposta del grande arbitro internazionale italiano Vinci, di unire le federazioni calcistiche di vari paesi europei, si è invece realizzata in breve. ( ) Un'organizzazione mirabile, Capo, dalla quale anche i politici dovrebbero apprendere tante cose. Immaginate l'opera affratellatrice di quelle squadre, in giro per l'Europa. La folla al cospetto di tanta bella, leale, coraggiosa gioventù comprende tante cose di amici e di nemici, perché il gesto affratellatore di un giovane è irresistibile, mentre purtroppo i diplomatici sono spesso vecchi, e sui loro visi rugosi, ermetici, la verità si spegne sempre 18 Il
primato dello sport sulla politica, overossia l'intendere lo sport come forma suprema di
consenso di massa, è caratteristica dei regimi totalitari e di quelli populisti;
Brighenti vi aderiva senza sforzo, in virtù della sua esperienza di giornalista sportivo
(esordì sulla "Gazzetta dello Sport" nel 1922, collaborò a "Il Calcio
Illustrato", fu direttore di "Schermo Sportivo", inoltre scrisse diversi
romanzi sull'argomento, oltre a Il regolamento tecnico del gioco del calcio nel 1932); in
un altro passo del romanzo, ad esempio scrive:"Il tennis per essere giocato
perfettamente vuole intelligenza, agilità mentale oltre che fisica, prontezza fulminea di
decisione ed anche una certa dose di scaltrezza. E non sono queste le doti proprie della
nostra razza? " 19. Nel Reparto Speciale di Polizia, il commissario D'Abate dott. Vincenzo aveva quella che si usa chiamare una ottima quotazione. Quarantenne, alto, vigoroso, colto e piuttosto bonario ( ). Era un meridionale al quale una solida educazione e molti anni passati nel settentrione erano riusciti a frenare meravigliosamente quegli impeti e spesso quella precipitazione nell'agire e nel giudicare che sono propri a gran parte dei meridionali 20. Una figura con cui il lettore può simpatizzare, benallevato ma alla mano; da prendere come esempio di stile e comportamento: Sbarbato di fresco, ancora giovane, gli occhi neri un poco da sognatore, la bocca tumida ombreggiata da due sottili baffetti, il commissario è simpatico, pulito, ispira confidenza. Il taglio del suo vestito è assai elegante, una bella camicia di seta, una cravatta blu a puntini bianchi Pare un giovane aristocratico capitato là dentro per puro caso. Il sottile profumo di Colonia che emana dalla sua persona ha invaso la stanzetta 21 Ha più dell'attore cinematografico che del questurino, ma i modelli cui si ispiravano quasi tutti i giallisti di quella generazione erano giocoforza quelli anglosassoni, tutti personaggi piuttosto signorili, sia per quanto riguarda le forze dell'ordine (investigatori privati o in servizio pubblico) che i loro pericolosi antagonisti, i criminali, che erano spesso veri e propri geni del Male, a controbilanciare l'eccellenza dei primi. Lo annotava, con una certa acutezza, il già citato Emilio Radius nel suo controverso articolo del 1939; egli scriveva: Ci sbaglieremo, ma il libro giallo, questo giuoco di società, ha limato sordamente il mito britannico del gentiluomo. La convenienza di far commettere il delitto dal personaggio meno sospettabile, dal più rispettabile, dal più cospicuo, ha popolato i romanzi polizieschi inglesi e americani di grandi signori del censo, del sapere, della tecnica e dell'arte, abili a celare diabolicamente sotto le belle maniere neri vizi e manie criminali. L'intelligenza, la cultura, l'educazione, l'eleganza sono state messe a servizio dell'impunità, e rendono inafferrabile il colpevole, sulle cui rare e scarse tracce bisogna quindi mettere non il poliziotto di mestiere, conoscitore di avanzi di galera, ma il detective di eccezione, il finissimo dilettante, il principe dell'indagine 22. Come autore italiano Brighenti non fa eccezione (e così pure Natoli di cui parleremo in seguito); addirittura sembra che i suoi poliziotti provino fascinazione e rispetto per le figure di criminali che devono perseguire, attratti dalla loro astuzia, abilità e cultura, purtroppo volte al Male. Il commissario Grifaci, ad esempio, di un sospettato (della cui colpevolezza è però già sicuro), dice: "E' un giovanotto intelligentissimo quel Lazarus Bloch, ed è un conversatore assai piacevole!" 23. E in seguito aggiunge: Nonostante che lo slovacco avesse detto poco o nulla che servisse a illuminare la Giustizia, pure il commissario Grifaci sentì quello che certamente ebbe a provare lo stesso giudice istruttore: un vivo desiderio che Bloch rimanesse per discorrere con lui amichevolmente, dimenticando magari il delitto ed i doveri di un'istruttoroia. Fa proprio piacere intrattenersi con una persona intelligente! 24 Di un veterinario di cui si scoprirà nel corso di un inchiesta la propensione omicida (ma a scopo di ricerca scientifica: stava studiando gli effetti della morte sul corpo umano), viene offerta una descrizione accattivante e simpatetica: "E' il veterinario che gli apre la porta. E' in maniche di camicia e quei suoi occhi azzurri, di fanciullo, pare sorridano" 25. Questo apostolo della scienza, che uccide disinteressatamente, per scoprire le leggi della vita, è animato da una visione messianica: Bisogna dare all'umanità la certezza che la morte non dà sofferenze, che si entra nel regno delle ombre inconsapevolmente, come si nasce. Il medico che saprà dare le prove di questo avrà tolto dall'anima di miliardi d'uomini il terrore che dentro vi sonnecchia Il volto del dott. Berbi apparve a queste parole come trasfigurato. Esprimeva un rapimento ascetico, una gioia soffusa di purezza angelica, sorprendente 26. Non meno inquietanti le conclusioni del commissario, che dimostra straordinaria comprensione per le ragioni dell'omicida, soave e filantropico, inconsapevole emulo del dottor Mengele: Il veterinario non batteva ciglio. Muto e assorto sembrava non lo riguardassero le parole del commissario D'Abate, e il suo sguardo conservava sempre una meravigliosa dolcezza. - Voi dottore, avete precorso troppo i tempi, continuò D'Abate. Non si ha il diritto di uccidere oggi, anche nel nome della scienza. Forse verrà un giorno nel quale questo sarà permesso a degli scienziati, che come voi sono pensosi delle sorti non dell'uomo ma degli uomini 27. Queste
profetiche parole introducono degnamente il clima politico e culturale in cui agisce
l'altro personaggio che interessa alla nostra ricerca: l'ispettore nazista Welf Schurke,
della Polizia Criminale di Berlino, uscito dalla penna dello scrittore Romualdo Natoli. Dove si è cacciato lo sporco ebreo che mi ha aperto? Un brivido freddo gli percorse la schiena. Già più d'una volta, nella sua carriera, egli si era trovato a dover lottare contro la subdola e terribile potenza israelitica, e sebbene ne fosse sempre uscito vincitore, non poteva dimenticare l'orrore di quelle lotte fatte di tradimenti e d'inganni 28 Il suo momento di gloria avviene quando può sputare in faccia agli assassini smascherati tutto il suo livore e il suo sdegno: "Avete sempre fatto i corruttori, voialtri, e avete sempre distrutto quello che vi era di buono negli uomini e nelle donne della mia razza che hanno avuto la sciagura di incappare nei vostri invisibili lacci. Ma ora è finita per voi Tempi nuovi, coscienze nuove! Ora è il nostro tempo, Lowenthal: quello dei veri tedeschi! 29 Tutto l'intreccio è confezionato su qualche inevitabile colpo di scena, sulla descrizione dei comportamenti dell'eroe, che gigioneggia assumendo le pose di un intellettuale annoiato (mentre è una mente lucidissima e vigile, subito pronta a scattare), pedante nello sfoggiare la sua cultura libresca, preso da sue stramberie e tic (ha l'abitudine di produrre uno strano verso, un rauco gracidio, quando è irritato). Ogni tanto l'autore inserisce, nel corpo stesso della narrazione, una fredda e laconica documentazione burocratica (ad esempio, i verbali di polizia), allo scopo di accentuare il realismo della trattazione; ma soprattutto, infarcisce la trama di prolissi sermoni che ripropongono il più vieto repertorio razzista e antisemita: Il mio paese era stato misericordioso con quelli della vostra razza, Lowenthal Avreste potuto e dovuto accontentarvi di ciò che vi lasciava. Ma la gente della vostra risma non è fatta per l'obbedienza e il rispetto delle leggi. ( ) Il vostro scopo supremo è il dominio del mondo, e per raggiungere il vostro scopo non indietreggiate davanti ai più infami delitti ( ) Dovevate pur capire, voi che siete intelligenti, che laddove il parlamentarismo e il democraticismo erano stati sepolti ignominiosamente, non vi era più nulla da fare per la vostra razza, se non accettare con serenità il nuovo stato di cose e cercare di collaborare coi nuovi regimi, per farvi perdonare la vostra origine, e le vostre malefatte e la terribile maledizione che pesa su di voi! ( ) Gesù, che la vostra razza assassinò 30. Accecato dal suo livore, la prosa di Natoli a tratti s'infiamma, cresce d'intensità, si gonfia d'iperbole, spreca gli aggettivi: il quartiere ebraico è un "verminaio", un "brulichio di vermi immondi", un "luogo infetto", gli ebrei sono "stirpe infame", "razza maledetta" e "perversa", si riconoscono per i loro "volti maligni"dal "naso adunco", per la loro "terribile puzza", per la "sudicia impronta" che lasciano dietro di sé. In Cabrenti il sentimento antiebraico era più contenuto e circoscritto; un solo personaggio, il calciatore Ervino Snidersi, prima di cadere vittima di un assassino (ebreo, appunto), aveva espresso senza mezzi termini il suo pensiero e la sua preoccupazione, ma poi nel romanzo l'autore non vi insiste oltre: Voi non conoscete certi ebrei. Io invece li conosco e vi dico che questi sono i loro delitti. ( ) solo un ebreo può aver collocato fra i binari la bomba che fece precipitare nell'Isarco mezzo treno. ( )Non c'è che una razza in Europa che possa far saltare un treno, per uccidere una donna, che possa far affondare un bastimento per compiere una vendetta su di un passeggero, anche uno solo, che possa far crollare un edificio: è la razza ebrea degli Aschkénazi. ( ) Cosa importa se i gorghi del mare, se i muri crollati dell'edificio, se le ferraglie del treno, seppelliranno tanti innocenti? Nulla arresterà la mano omicida perché la sete di vendetta non sarà saziata da nessun scrupolo: essa dovrà implacabilmente compiersi 31. Quando Schurke si trova faccia a faccia col colpevole e ricostruisce il filo della vicenda, svela i laidi retroscena dei complotti a fatica sventati, gli antagonisti, vistosi perduti, lasciano cadere la maschera e ogni parvenza di signorilità cede il posto alla più vile abiezione:"Il capitano si era lasciato andare sulla sedia: era livido, e teneva gli occhi bassi; una paura folle lo aveva afferrato come in una morsa, e lo teneva inchiodato al suo posto, incapace di parlare e di reagire" 32. Avendo rinunciato ad ogni dignità, al reo non rimane che un'estrema risorsa, tentare di corrompere il difensore della legge, che, come si può prevedere, è invece granitico nella sua onestà e incorruttibilità: Lowenthal parlava come se qualche cosa gli chiudesse la gola, stretta da un terrore abbietto. Grosse gocce di sudore gli imperlavano la fronte e tutto il suo corpo era agitato da un tremito violento. ( ) - Lasciatemi fuggire, Schurke! - Oh, siete in pericolo? -Datemi due ore di tempo, e io vi consegno la chiave della cassaforte Pensate: duecentomila marchi ( ) -Grrrr! - gracidò. -Ecco del buon denaro per rinsanguare le finanze del paese! Afferrò rudemente per il bavero l'ebreo e lo costrinse a sedere su una poltrona, poi trasse di tasca un paio di manette e gliele passò intorno ai polsi 33. Ogni vicenda che Natoli racconta, è concepita in un preciso momento storico di quegli anni: L'uomo e la folla (1941) è ambientato in Germania, a Berlino, nel 1933; Il marchio di Giuda (1941) in Austria, a Vienna, nel 1939, un anno dopo l'Anschluss; Il mistero del poligono (1943) in una Francia sconfitta e umiliata, a Parigi dopo il 1940, con gli occupanti tedeschi a fare da padroni. Incurante del ridicolo, in quest'ultimo romanzo, descrive le forze d'occupazione come molto tolleranti e gentili, in fondo apprezzate dai francesi, traditi dalle false teorie democratiche, e ora finalmente restituiti alla pace e alla sicurezza: I vincitori non si mostravano esosi e pesanti, è vero. Lasciavano anzi che la vita si svolgesse come sempre, specialmente a Parigi; ma avevano dettato alcune norme inderogabili, alle quali era pericoloso trasgredire. ( ) Il verminaio che brulicava attorno alle Halles ed altrove era stato epurato senza pietà fin dai primi giorni dell'occupazione. Tutto un mondo equivoco e lercio, un mondo di ladri, di ebrei, di speculatori, di teppisti, di mezzani e peggio aveva dovuto inchinarsi, per la prima volta dopo secoli di vita rigogliosa, davanti alla legge severa degli occupanti: e i campi di concentramento francesi avevano visto, una volta tanto, la melma di Parigi dietro i reticolati. Di questo i parigini si erano accorti subito, ed avevano sentito un profondo senso di riconoscenza per i tedeschi, i quali avevano permesso loro di uscire tranquillamente di casa e tornarvi illesi e col portafogli in tasca 34. Al di là di queste amenità, forse l'aspetto più interessante della narrativa di Natoli è la consapevolezza di vivere in tempi tumultuosi, caratterizzati dal cambiamento tecnologico e dalla velocità: La guerra è finita da vent'anni. Una generazione nuova sostituisce quella che per quattro lunghi anni servì a insanguinare i campi dell'Europa e del mondo, per ingrassare la Terra, e permettere agli avvoltoi e agli sciacalli d'Israele di raccogliere una messe abbondante I tempi vertiginosi nei quali viviamo non lasciano il tempo, ai giovani d'oggi, di occuparsi dei giovani di ieri. ( ) Dal 1918 a oggi il mondo ha fatto più strada di quanto ne abbia fatto in cent'anni. Nuovi grandiosi avvenimenti, nuove lotte, nuove vittorie, hanno relegato nella polvere dei tempi gli avvenimenti di vent'anni fa. Questo è fatale e non vi è nulla da fare contro la marcia inesorabile del tempo 35. A parte certi echi alla Papini (Amiamo la guerra, 1914), traspare una certa malinconia, una nostalgia per un "mondo di ieri" ormai del tutto tramontato; o perlomeno un accenno di perplessità da parte di chi appartiene alla generazione non più giovane e fatica ad adattarsi alla frenesia dei tempi nuovi, pur apprezzandoli politicamente. Ne L'uomo e la folla, un romanzo del 1941, Natoli esprime efficacemente quel senso di angoscia che prova il singolo di fronte ad una società massificata, dove a imperare, ottusamente e senza controllo, è appunto la moltitudine, una forza cieca che solo le dittature sembrano riuscire a dominare. Il traffico cittadino dei pedoni può essere allora il luogo ideale per commettere un omicidio senza essere notati: La macchia di sangue era sparita, e la folla, sempre nuova, passava indifferente sulle tre o quattro lastre di cemento dove non più di una ora prima si era abbattuto il corpo di un uomo, ucciso tra migliaia di altri uomini ( ) La marea di gente che percorreva frettolosamente il marciapiedi lo urtava, lo sospingeva ( ) centinaia di volti senza lineamenti, che si sovrapponevano e si confondevano in una ininterrotta teoria piena di sfumature 36. La
scelta di ambientare nelle capitali europee i suoi romanzi (Berlino, Londra, Vienna,
Parigi
) è probabilmente motivata dalla consapevolezza, da parte dello scrittore,
che il lettore italiano di gialli era abituato ad ambientazioni straniere piuttosto che
nazionali. Inoltre, il genere poliziesco era nel nostro paese ancora ai primordi, e
possono perciò apparire comprensibili certe ingenuità e forzature,come, ad esempio,
quella di affermare che "Schurke, il grande Ispettore", grazie alla sua
notorietà, "le Polizie di mezza Europa più d'una volta avevano chiamato in
aiuto" 37; oppure la pedanteria di Brighenti nel riepilogare l'intera vicenda fino
al punto in cui si è arrivati, almeno un paio di volte a romanzo, a usufrutto del lettore
che si pensa debba essere accompagnato per mano (andando invece a discapito della tenuta
narrativa e della scorrevolezza). Era un tributo alla vocazione didascalica di questo
genere popolare, così come era normativo nel giallo classico all'Agatha Christie, riunire
in una stanza tutti gli interessati e coinvolgerli in rivelazioni che avrebbero messo
ognuno in imbarazzo, per dimostrare che chiunque dei presenti poteva avere un movente
all'omicidio. Si giungeva infine a soluzione, inducendo il colpevole all'ammissione, nel
momento in cui compiva un estremo quanto inutile tentativo di fuga. Il fascismo trovò nel romanzo poliziesco uno strumento refrattario alla sua glorificazione; in un primo tempo gli permise di vivere relativamente in pace, chiedendogli come contropartita di restare neutrale e poi, in fase di recrudescenza, ritenendolo addirittura nocivo ai fini della conservazione del regime, tentò di eliminarlo. E di sradicare l'"esterofilia" di cui il giallo si faceva depositario 39. |
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