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La Riforma
della scuola primaria: luci ed ombre
di
Carmelo Stornello
La Riforma della scuola avviata con la scuola primaria ha modificato il
panorama in cui si trovano ad operare docenti e famiglie. Sappiamo che
si tratta di una riforma non condivisa, ma ci sono state, in passato,
riforme accettate dall’unanimità della popolazione?
Augusto Monti, in un suo libro pubblicato nel 1963, a ridosso della
riforma della scuola media unica, scrive questa riflessione “…in fatto
di scuola la differenza non è fra scuola “formativa” e scuola
“informativa”, fra scuola che “educa” e scuola che “istruisce” […]; ma
fra una scuola fatta bene e una scuola fatta male” (A. Monti “I miei
conti con la scuola” ed. Einaudi).
Monti mette in evidenza sì le responsabilità degli insegnanti e la loro
preparazione, ma anche la necessità da parte dello Stato di rendere
possibile tale preparazione, e di assicurare finanziamenti congrui.
Mi sembra uno spunto interessante per una riflessione il più possibile
obiettiva, che soprattutto esuli da preconcetti ideologici.
Il mio parere è che la scuola elementare aveva bisogno di alcuni
aggiustamenti, un po’ come una casa ha necessità di manutenzioni
periodiche. E per chiarire ulteriormente la mia posizione, va detto che
non difendo il tempo pieno di 40 ore, anche se, allo stato attuale,
posso comprendere le necessità delle famiglie soprattutto di quelle che
vivono nelle grandi città, perché rischia di costringere ad un “orario
d’ufficio” i bambini già a sei anni. Piuttosto chiedo un tempo scuola
adeguato a fornire istruzione di qualità e, per questo, credo siano
sufficienti 30 ore.
Nella Riforma possiamo leggere quattro grosse novità: la flessibilità
organizzativa, i Piani di Studio Personalizzati, il Portfolio, la
funzione dell’insegnante Tutor.
Tutto questo ha un riferimento normativo che non va dimenticato, ovvero
la trasformazione del diritto all’istruzione in diritto-dovere
per la scuola e per le famiglie.
Secondo questo principio, la famiglia diventa corresponsabile
dell’istruzione dei propri figli, un partner che la scuola non può
ignorare. Si potrà affermare che c’erano già i Decreti Delegati. Vero!
Ma questo aspetto coinvolge le famiglie in un modo ancor più attivo. In
pratica la famiglia non è più chiamata a collaborare “a latere” con la
scuola, ma può, in virtù del suo diritto-dovere, decidere del percorso
formativo che ritiene più adatto per il proprio figlio.
Si tratta di un’innovazione culturale che pone due problemi: occorre che
la famiglia sia in grado di scegliere le opportunità migliori per il
proprio figlio; che la scuola sia sufficientemente aperta da leggere le
richieste delle famiglie, anche per utilizzarli come spunti per una
innovazione interna, pur senza adeguarsi passivamente ad esse. Perché
non c’è dubbio che le maggiori difficoltà sorgeranno laddove la scuola è
più chiusa in se stessa, dove si è più impermeabili ai cambiamenti.
Veniamo al Portfolio.
Qual è la situazione attuale? E’ utilizzato nelle scuole europee ed
anche in alcune scuole superiori italiane che hanno necessità, ad
esempio, di capire qual è stato il percorso formativo degli alunni
stranieri. Si sta diffondendo il Portfolio europeo delle lingue, come
strumento di certificazione di competenze. Eppure non piace.
Le critiche al Portfolio che sento più spesso sono del tipo “ma chi mai
leggerà tutte queste pagine” oppure “ma vi vedete, voi genitori, a
compilare con noi docenti questo fascicolo?”. Sono frasi che mi
ricordano le resistenze e le difficoltà con cui la scuola, nella figura
degli insegnanti, accolse la partecipazione della famiglia nel 1974, in
seguito all’emanazione dei Decreti delegati.
Certamente la costruzione di questo nuovo strumento di valutazione e di
orientamento richiederà un lavoro aggiuntivo, ma richiederà anche di
porre maggiore attenzione ai processi di valutazione.
Per questo non sarà l’assenza o la presenza del Portfolio che impedirà
alla scuola di essere “una scuola fatta bene”. E neppure la figura del
Tutor, a condizione che si salvaguardi, in tutte le sedi e con le forme
più idonee, la corresponsabilità del team docente. Alle famiglie,
comportamento valido già fin d’ora, bisogna parlare con la voce di tutti
i docenti impegnati su una classe, non solo con la voce del tutor. E
questo non lo si stabilisce per legge, visto che discende dal buon senso
e dalla capacità organizzativa degli insegnanti. Allora, perché i
docenti non vedono di buon occhio questa figura-funzione? Perché molti
docenti, anche critici, stanno facendo corsi di formazione per poter
assumere questo ruolo?
Le innovazioni che davvero rischiano di rendere difficile il lavoro
degli insegnanti stanno nella Flessibilità organizzativa e nei Piano di
Studio Personalizzati (PSP).
Tutti e due derivano in parte dal diritto-dovere all’istruzione, ma
rischiano di mettere a soqquadro l’organizzazione di qualsiasi scuola.
La Flessibilità organizzativa, tenendo conto di un monte ore
obbligatorio, consente alle famiglie di scegliere il modulo orario più
opportuno. Qui si aprono due interrogativi: Riuscirà la famiglia a
decidere cosa è meglio per il proprio figlio? In che modo, la scuola
potrà offrire un prodotto di qualità se in una classe ci saranno bambini
che frequentano chi per 27, chi per 30, chi per 33, chi per 40 ore?
Sembrerebbe ovvio affermare che la legge 53 indichi in 27 ore
settimanali (che è definito orario obbligatorio) il tempo utile per dare
una buona istruzione tenendo conto di quanto delineato nelle Indicazioni
Nazionali. Ma è proprio su questo punto che i docenti non sono
d’accordo.
E’ vero che sono state ridotti i contenuti di alcune discipline, ma è
altresì evidente che ne sono state introdotte altre (es. Tecnologia e
lingua straniera dalla classe prima). Qualcuno ha elencato circa 618
abilità da conseguire in cinque anni con 27 ore settimanali di lezione.
A voi le conclusioni.
Personalmente credo che a fronte di questa situazione, i docenti saranno
obbligati a scegliere una riduzione degli Obiettivi Formativi.
Ritengo positiva la riduzione dei contenuti di alcune discipline, come
ad esempio storia, ed anche evitare di ripetere per tre volte gli stessi
argomenti entro il termine della scuola superiore, così come avveniva
fino all’anno scorso, ma sarà importante permettere ai docenti di
ampliare gli argomenti esplorando, ad esempio, la storia e la cultura
locale indipendentemente dai vincoli delle Indicazioni Nazionali.
A questo potrebbero tornare utili proprio le 3 ore opzionali. Ma queste
sono anche ore facoltative, e poiché non è detto che tutte le famiglie
sceglieranno in tal senso, si rischierà di creare disparità tra bambini
della stessa classe, in base alle scelte di frequenza a scuola. Come si
vede sarà necessario fare i conti con le scelte delle famiglie. Meglio
ancora, esporre con chiarezza e dovizia di motivazioni, il proprio Piano
dell’Offerta Formativa, che dovrà tenere conto di tutto ciò.
Infine i Piani di Studio Personalizzati.
Scorrendo la legge e i decreti attuativi, si legge che la loro
introduzione è dettata dalla necessità di favorire chi è in maggiori
difficoltà e, nello stesso tempo, dare più opportunità ai bambini con
potenzialità maggiori dal punto di vista dell’apprendimento. Ma bisogna
riferire queste buone intenzioni ad altri due fatti: la riduzione della
classe a unità amministrativa e non più didattica; l’abolizione delle
ore di contemporaneità.
Il lavoro di individualizzazione o di approfondimento, in passato
avveniva all’interno dello stesso gruppo classe con l’utilizzo dei
docenti titolari della stessa. Ora viene meno sia la contemporaneità sia
la classe intesa come nucleo di riferimento dell’azione didattica. In
questo contesto il lavoro individualizzato, che si svolgeva in passato
non è più possibile. Secondo la legge di Riforma i PSP dovrebbero
sostituire entrambe le modalità di lavoro. Servono alla
personalizzazione, ma anche a permettere attività per gruppi di livello,
di interesse, di pari. E la mancanza di contemporaneità, viene
sostituita dall’intervento di docenti di altre classi. In pratica, si
smembrano le classi e si formano nuovi gruppi da affidare ai docenti
presenti in quel momento.
La forma è salva, ma non si tiene conto, tra le altre cose, che i
bambini della scuola primaria non sono gli adolescenti dei college
americani, che scelgono il proprio percorso formativo e in forza di
questa scelta cambiano più gruppi di lavoro nella stessa mattinata.
Credo che questo sia uno degli aspetti più deleteri della Riforma e
persino di difficile realizzazione. Inoltre mina il rapporto
privilegiato che si forma tra docente e allievo nei primi anni di
scuola, che è una componente dell’apprendimento.
In conclusione, questa Riforma ha a mio avviso, alcuni punti
interessanti, tra cui la scelta di non ripetere tre volte gli stessi
argomenti, la riduzione del tempo scuola per bambini dai sei agli undici
anni. Ma porta con sé aspetti fortemente negativi, quali lo smembramento
delle classi che avverrà con l’azione combinata della scelta del modulo
orario da parte delle famiglie e dei PSP di competenza degli insegnanti.
Mi risulta che, pochi aspetti di questa Riforma siano applicati su tutto
il territorio nazionale e, probabilmente, questa è già una risposta in
merito alla sua validità. Se a questo si aggiunge che uno degli
obiettivi di questa legge è la riduzione del personale docente e che non
sono previsti finanziamenti particolari e/o straordinari, ne deriva che
ancora una volta si ripeterà la vecchia storia di celebrare le nozze coi
fichi secchi. Ancora una volta la “scuola fatta bene” sarà solo il
frutto di quel manipolo di docenti che, facendo miracoli, riusciranno,
nonostante tutto, a mettere i propri allievi in condizioni utili per
affrontare il futuro.
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