|
«
Breve
storia dell’abolizione della pena di morte in Italia
di Claudio
Giusti
Quinta edizione - 30
aprile 2009
Testo disponibile
anche in
formato PDF -
Download
[ 139 KB]
Breve storia
dell’abolizione della pena di morte in Italia.
30 aprile 1859, Il Governo Provvisorio Toscano abolisce la pena di
morte.
“Siamo tutti figli di Caino”
Il 2 ottobre 2007, con la Legge Costituzionale Numero Uno, il nostro
Paese ha concluso il cammino iniziato due secoli fa quando, il 30
novembre del 1786, il Granducato di Toscana aboliva la pena capitale.
Abbiamo liberato l’Italia dal termine “pena di morte”. Non è stato
facile: il percorso è stato lungo, accidentato e irto di ostacoli. (1)
Senza scomodare Guglielmo il Conquistatore, Tommaso Moro e altri (2),
possiamo sostenere che l’abolizionismo inizia nel 1764, con la
pubblicazione dell’opuscolo intitolato “Dei delitti e delle pene” con
cui il milanese Cesare Beccaria poneva al centro del dibattito
intellettuale del tempo il tema della pena di morte. (3)
Italo Mereu ha brillantemente esposto (4) le contraddizioni, le
ambiguità e i limiti del pensiero di Beccaria. Ha spiegato come
distinguere fra il Beccaria mitizzato dai posteri e quello vero e di
come fosse invece coerente, nel 1797, l’abolizionismo del lughese
Giovanni Compagnoni. Tutto vero, ma per fortuna il Movimento
Abolizionista ha, in questi due secoli, accumulato una tale quantità di
dati e di esperienze da rendere superfluo l’utilizzo del pensiero
dell’illuminista milanese.
In ogni caso, a difesa di Beccaria, è doveroso far notare le
insuperabili difficoltà che egli avrebbe incontrato nel pubblicare un
testo più radicale e anche quanto fossero incoerenti altri pensatori del
suo tempo come John Stuart Mill e Thomas Jefferson (5), per non parlare
poi dei francesi che, nel 1795, abolirono la pena di morte, ma a
condizione che prima fosse proclamata una impossibile “pace generale”,
mentre Robespierre teneva il più bel discorso mai fatto contro la pena
capitale (6) e la Convenzione, seguendo le indicazioni del dottor Joseph
Ignace Guillottin, adottava un nuovo e più umano strumento di morte.
Nel Settecento i supplizi erano raccapriccianti, preceduti dalla tortura
e attuati con la massima crudeltà possibile. I condannati erano
bruciati, bolliti, sbudellati e squartati. La stessa impiccagione era
atroce e seguita dallo smembramento del disgraziato, vivo o morto che
fosse. In Inghilterra i reati passibili di pena di morte erano più di
200 e Arthur Koestler, nel suo “Reflections On Hanging” (7), afferma che
i patiboli posti agli incroci delle strade inglesi erano così comuni che
venivano usati come riferimento dalle neonate guide turistiche. (8) Il
Bill of Rights inglese del 1689, vietando le pene “crudeli e inusuali”,
si proponeva appunto di porre un limite alla ferocia dei carnefici e
Beccaria, come Verri, ebbe il merito di porre il problema in modo chiaro
e di fare interessare l’intelligencija illuminista all’idea che:
“Non è utile la pena di morte per l'esempio di atrocità che dà agli
uomini.”
Contraddizioni a parte il successo fu immenso. Messo all’indice in
Italia “Dei delitti e delle pene” fu apprezzato da Voltaire e accolto
con entusiasmo in tutta Europa. Beccaria trovò sostenitori anche in
America dove Benjamin Rush propose che la Costituzione stessa vietasse
la pena capitale e dove sia Jefferson che Franklin erano abolizionisti.
Per un quarto di secolo il suo testo fu letto e riletto, discusso,
tradotto, stampato e ristampato. Poi arrivò la prima abolizione e i
toscani la festeggiano con legittimo orgoglio, ma questo fu l’ultimo
afflato di un mondo che stava per essere travolto dalla Rivoluzione.
L’abolizionismo illuminista fu schiacciato dal rullo compressore dei
codici napoleonici prima e della reazione codina dopo. Il ritorno dei
vecchi regimi coincise con un rinnovato entusiasmo per il boia di cui De
Maistre fa il panegirico nel 1821:
“Ogni grandezza, ogni potere, ogni sudditanza si basano sul boia: egli
costituisce l’orrore e il legame della società umana. Togliete dal mondo
questo agente e nello stesso istante l’ordine lascia il posto al caos, i
troni s’inabissano e la società scompare.”
Credo sia impossibile trovare chi meglio esprima la natura terroristica
della pena di morte e di come questa sia sempre un fatto politico, una
dimostrazione del potere assoluto dello stato sull’individuo. (9) Oggi,
con il mondo in grandissima parte abolizionista, questa posizione di
“assolutismo statale” la troviamo in Oriente, in Giappone, Cina e
Singapore, mentre negli Stati Uniti c’è l’altro estremo della
giustificazione del patibolo: il volere democratico della maggioranza
della popolazione. (10)
Nondimeno, in questi ultimi duecento anni abbiamo constatato che le
società non scompaiono con il patibolo e nemmeno la fiammella
dell’ideale abolizionista scomparve con il Secolo dei Lumi. Sopravvisse
in Francia grazie allo scrittore Victor Hugo (quello del Gobbo di Notre
Dame) (11) per ricomparire nel posto più inaspettato. Il primo marzo
1847 lo stato americano del Michigan, che non aveva esecuzioni da dieci
anni, divenne la prima giurisdizione stabilmente abolizionista,
dimostrando così che, anche negli Usa, è possibile vivere senza
ammazzare la gente. (12) L’anno successivo l’abolizione tornava in
Europa, a San Marino, mentre, nel 1849, sul finire della rivoluzione
nazionale, sarà la gloriosa e dimenticata Repubblica Romana a scrivere
(primo stato al mondo) nella propria Costituzione l’abolizione della
pena capitale. I patrioti italiani come Mazzini, Garibaldi e il
forlivese Aurelio Saffi, conoscevano fin troppo bene l’uso reazionario e
repressivo del patibolo e questa abolizione la scrissero nella loro
legge fondamentale:
“Art. 5. — Le pene di morte e di confisca sono proscritte” (13)
Durò solo un attimo. La Costituzione della Repubblica Romana (prima e,
per 99 anni, unica costituzione democratica italiana) fu proclamata in
Campidoglio il 3 luglio del 1849, mentre le truppe francesi occupavano
la città. Fu un grande lascito e va a nostro disonore l’averlo
dimenticato. Poi i patrioti italiani furono dispersi, perseguitati e
uccisi (come il capopopolo romano Ciceruacchio, fucilato con il figlio
dodicenne Lorenzo nell’agosto del 1849) e il loro sogno di libertà e
unità sembrò finito per sempre. Eppure, dopo solo un decennio, e questa
volta con l’aiuto delle armi francesi, il sogno trionfava.
Nelle frenetiche giornate della Seconda Guerra di Indipendenza fu di
nuovo Firenze a rimettere in campo l’abolizione. Il 30 aprile del 1859
il Governo Provvisorio Toscano, onorando la memoria dei padri, aboliva
la pena capitale nel Granducato, affermando che “fra noi la civiltà fu
sempre più forte della scure del carnefice”. Sul momento la cosa non
suscitò particolare interesse, ma poi, quando si riunì il Parlamento
d’Italia (il 17 marzo1861 fu proclamata l’unità del paese sotto Re
Vittorio Emanuele II), ci si rese conto che la pena capitale sussisteva
in tutto il Regno, ma non in Toscana.
La Camera dei Deputati risolse con eleganza la spinosa questione. Dopo
un vivace dibattito la Camera votò, il 13 marzo 1865, la fine della pena
di morte per i reati di diritto comune.
Era stato Carlo Cattaneo (14) a iniziare la battaglia, chiedendo la fine
della pena capitale in nome del progresso e della civiltà, ma
soprattutto per la sua dimostrata inutilità. A lui si unirono, con il
loro “Giornale per l’abolizione della pena di morte” (1861-1865), i
giuristi Pietro Ellero, che aveva “orrore per la schifosa danza”
dell’impiccagione (15), e Francesco Carrara che la considerava più
“illegittima” che inutile. A questi si uniranno Guerrazzi, Tommaseo,
Carducci, Garibaldi e soprattutto Pasquale Stanislao Mancini: un raro
caso di uomo politico che non annacquava il suo abolizionismo nel
passaggio dai banchi dell’opposizione a quelli del governo. Con lui la
maggioranza dei deputati decise che: “Sarebbe difficile persuadersi che
la Toscana [sia la] sola, dove la conservazione dell’ordine pubblico non
ha bisogno di questa pena” (16). Purtroppo il Senato, che era di nomina
regia, bloccò tutto e fummo ancora una volta battuti da San Marino che,
nello stesso 1865, divenne abolizionista totale.
Ma l’uso del patibolo aveva i giorni contati. Le esecuzioni cessarono,
grazie all’amnistia, nel 1877 e, per i successivi cinquant’anni,
l’Italia mostrò al mondo che si poteva vivere senza la pena capitale.
Infatti la lotta abolizionista aveva preso nuovo vigore dopo la
bocciatura senatoriale e Mancini prima e Zanardelli poi, con l’appoggio
dei giuristi e dell’opinione pubblica, portarono il Parlamento a votare,
il 28 novembre 1888, il nuovo Codice Penale e l’abolizione della pena
capitale per i crimini comuni. Il desiderio di fornire al mondo un
esempio di legislazione avanzata aveva vinto sulle obiezioni dei fautori
del patibolo che, ispirandosi alla Germania come oggi si ispirano agli
Usa, affermavano, allora come oggi, che la pena di morte è un deterrente
e che la sua abolizione avrebbe causato un aumento degli omicidi (17).
Purtroppo l’abolizione era ben lungi dall’essere totale. Il patibolo era
previsto nelle colonie, in guerra ( 18) e durante lo “stato d’assedio”
(come quando, nel 1898, il generale Bava Beccaris prese a cannonate gli
operai in sciopero). In ogni caso il nostro paese fece per mezzo secolo
parte dello sparuto drappello dei paesi che già allora erano
abolizionisti. (19). Il Codice Zanardelli entrò in vigore il 1° gennaio
1890 e lo rimase per i successivi quarant’anni.
Fu il fascismo a fare tornare il boia nel nostro paese. Le “leggi
fascistissime” del 9 novembre 1926 punivano con la morte gli attentati
al re e al duce. Poi, con il Codice Rocco del 1931, la pena di morte fu
allargata agli omicidi comuni. Comunque è doveroso rammentare che i
fascisti furono costretti a realizzare il loro Tribunale Speciale, visto
che la Magistratura non era disponibile ad aderire ai loro desideri,
come invece lo fu quella tedesca nei confronti del regime nazista.
La pena capitale (somministrata dal plotone d’esecuzione) andò avanti
per una ventina d’anni. Fu utilizzata con parsimonia (20) se paragonata
a quanto accadeva in Germania e in Unione Sovietica, ma in aggiunta alle
uccisioni “legali” occorre ricordare gli assassini e i crimini di guerra
commessi sia prima che durante la Seconda Guerra Mondiale. Le ultime
esecuzioni si tennero nella primavera del 1947 quando furono fucilati
tre criminali comuni noti come “Quelli di Villarbasse”. (21)
Italia e Germania abolirono la pena di morte subito dopo la fine della
guerra, mentre il Giappone non l’ha ancora fatto. Una delle molte
ragioni può essere il senso di colpa dei due paesi europei che si
considerano responsabili della guerra e volevano rompere con il loro
passato dittatoriale anche in questo, mentre l’altro, per via delle
bombe atomiche, si considera una vittima. (22).
La nostra Costituente repubblicana non poteva fare altrimenti che
abolire la pena di morte, ma lo fece con riserva lasciandola come
estrema ipotesi nell’articolo 27 che recitava: “Non è ammessa la pena di
morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”.
Nei vent’anni successivi all’abolizione italiana accadde l’esatto
contrario di quanto previsto dai forcaioli. Il tasso d’omicidio si
ridusse drasticamente fino ad arrivare a un terzo di quello del 1948,
passando dal 5,5 per centomila all’ 1,4. Il Canada, che nel 1976 ha
abolito la pena di morte proprio mentre gli americani la facevano
tornare, ha avuto un’esperienza identica e di recente l’Italia ha visto
un vertiginoso calo degli omicidi, passati dai 1.900 del 1991 ai 600 di
oggi. (23) L’esperienza italiana, oltre a quella secolare di alcune
giurisdizioni americane, dimostra al di là del ragionevole dubbio che la
pena capitale non è un deterrente.
Ma la fede nel boia è dura a morire.
A partire dagli anni del Terrorismo, e fino alle stragi mafiose del
1992, ci furono diversi tentativi di reintrodurre la pena di morte
utilizzando lo stato di guerra interna (o di utilizzare la pena di morte
per mettere l’Italia in una sorta di dittatura militare avvalendosi
della voglia di vendetta del popolino), come non sono rari oggi i casi
in cui, di fronte a qualche delitto particolarmente efferato e ben
visibile appunto perché raro, si alzino voci in favore di un impossibile
ritorno del patibolo.
In ogni caso quei tentativi fallirono grazie alla nostra Costituzione e
all’Europa.
La richiesta si basava sulla teorica possibilità di dichiarare lo stato
di guerra sul territorio nazionale, (o parte di esso) e la base
giuridica era il Regio Decreto 773 del 18/06/1931 “Dello stato di
pericolo pubblico e dello stato di guerra”. (24)
Questo reperto archeologico fa a pugni con la nostra Costituzione che
non prevede alcun caso in cui i diritti che garantisce possano essere
sollevati e in cui non esiste un Capo del governo che possa dichiarare
la guerra, che è sempre intesa come conflitto esterno, come avviene in
tutte le norme internazionali che prevedono eccezioni all’abolizione
della pena di morte in tempo di pace. (25)
Se il ripristino del patibolo incontrava insormontabili ostacoli legali
interni, ancora maggiori erano quelli che avrebbe incontrato a livello
internazionale, dove le organizzazioni sovranazionali dei partiti erano
abolizioniste e dove sia il Consiglio d’Europa che l’Unione Europea lo
erano in maniera adamantina.
L’Europa è da lungo tempo contrarissima alla pena capitale e non esiste,
nemmeno in teoria, la possibilità che essa consenta ad uno stato membro,
dell’Unione Europea o del Consiglio d’Europa, di far tornare il boia. A
onor del vero occorre ricordare che, al contrario della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo che non ne parla, la Convenzione
Europea prevede espressamente la pena capitale nell’Articolo 2, ma
questa possibilità è stata sempre più limitata e ora, con il Tredicesimo
Protocollo del 2002 e con l’esplicito divieto inserito nel progetto di
Costituzione Europea, il nostro continente è “death penalty free”.
Nel 1981 la Francia fu l’ultimo paese dell’Europa Occidentale ad abolire
la pena di morte (grazie al Presidente Mitterandt e al suo ministro
Robert Badinter) e questo consentì all’Europa di diventare il
riferimento del Movimento Abolizionista mondiale. Con il Sesto
Protocollo (1983) la possibilità di utilizzare la pena di morte fu
ristretta al solo tempo di guerra e furono i paesi europei a convincere
le Nazioni Unite ad approvare prima le Garanzie Ecosoc nel 1984 e poi,
nell’indimenticabile 1989, il Secondo Protocollo (26)
Nel frattempo l’Italia non stava con le mani in mano e, il 13 ottobre
1994, aboliva la pena di morte dal codice militare, diventando uno dei
90 paesi abolizionisti totali. (27) La semplice cancellazione del
termine “pena di morte” dalla nostra Costituzione, che pareva cosa di
poche settimane, ha invece richiesto un tempo lunghissimo a
dimostrazione che, dietro un unanimismo di facciata, non sono pochi i
politicanti italiani che amerebbero “provare pubblicamente che si è
pronti a assumere ciò che ci fa orrore quando ne vada della difesa della
collettività” (28)
Oggi, con il tasso di omicidio più basso di sempre, possiamo infine fare
nostre le parole della Legge Toscana del 30 novembre 1786:
“abbiamo abolito con la presente Legge per sempre la Pena di Morte
contro qualunque reo”
Viva l’Italia.
Claudio Giusti
Note
1
La Legge Costituzionale numero 1 del 2 ottobre 2007 ha confermato
l'abolizione della pena di morte in Italia abrogando la parte finale
dell'Articolo 27 della Costituzione che prevedeva l’ipotesi di pena
capitale per i delitti previsti dalle leggi militari di guerra. Questi
però, grazie alla Legge 589 del 13 ottobre 1994, non erano più reati
capitali
2
“Iddio ha proibito di uccidere chicchessia e noi ammazziamo con tanta
facilità solo per quattro soldi rubati? “ Tommaso Moro
“Tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza. Un
meridiano decide della verità. (...) Singolare giustizia che ha come
confine un fiume.” Blaise Pascal
Il normanno Guglielmo il Conquistatore era contrario alla pena di morte
in tempo di pace
www.deathpenaltyinfo.org/part-i-history-death-penalty
3
Cesare Beccaria, “Dei delitti e delle pene”, A cura di Franco Venturi,
Torino, Einaudi, 1995
vedi anche:
www.liberliber.it/biblioteca/b/beccaria/dei_delitti_e_delle_pene/html/delit_ii.htm
4
Italo Mereu, “La morte come pena”, Roma, Donzelli, 1982 - 2000
5
Thomas Jefferson scriveva cose bellissime sui diritti umani:
“We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal,
that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights,
that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness.”
www.law.indiana.edu/uslawdocs/declaration.html
e poi andava a casa a ingravidare la schiava nera Sally Hemings; mentre
John Stuart Mill nel suo splendido “On Liberty” osservava che:
“Despotism is a legitimate mode of government in dealing with barbarians”
www.utilitarianism.com/ol/one.html Chapter I, Introductory
6
Maximilien Robespierre tenne nel 1791 una delle più belle, se non la più
bella, orazione contro la pena di morte, dimostrandoci così quante
contraddizioni si possano sommare nella stessa persona:
“Ascoltate la voce della giustizia e della ragione; essa grida che mai
il giudizio dell’uomo è tanto certo da far sì che la società possa dare
la morte a un uomo condannato da altri uomini soggetti a sbagliare.”
Discours sur la peine de mort - Maximilien de
Robespierre (vedi Allegato)
www.emsf.rai.it/percorsi_tematici/Pena_di_morte/index.htm
7
Koestler Arthur e Camus Albert
Reflexions sur la peine capitale, Paris, Clamann-Levy, 1957 - 1979
(traduzione italiana “La pena di morte”. Roma Newton Compton 1972)
8
Sulla crudeltà della pena di morte vedi:
www.osservatoriosullalegalita.org/06/acom/01gen2/1900giuspenamors.htm
9
"Se egli ha ucciso, egli deve morire. Non vi è nessun surrogato, nessuna
commutazione di pena, che possa soddisfare la giustizia." Kant
Giustiniano precorre il Presidente Mao Tse Tung: ”Correggi con forza,
perché il supplizio di pochi faccia salvi gli altri” e “Punisci in modo
duro, per ammonire tutti gli altri con il supplizio immediato dei pochi”
, mentre a Mao è attribuito il “Colpirne uno per educarne cento”
“Lo Stato ha l’alto diritto di vita e di morte sull’individuo” Augusto
Vera
10
Effettivamente è difficile immaginare qualcosa di più democratico di un
bel linciaggio:
flipnews.org
11a
Victor Hugo era un deciso oppositore della pena di morte. Famoso è il
discorso da lui tenuto, il 15 settembre 1848, davanti all’Assemblea
Costituente:
“Que voulez-vous enseigner avec votre exemple? Qu'il ne faut pas tuer.
Et comment enseignez-vous qu'il ne faut pas tuer? En tuant.”
wikisource
Parafrasato poi da Amnesty International con lo slogan:
“Perché uccidere chi uccide per dimostrare che non bisogna uccidere?”
11b
Non dovete stupirvi che uno scrittore sia così profondamente impegnato
in temi politici. Non per nulla il padre dei diritti umani moderni è lo
scrittore di fantascienza H. G. Wells che, con un gruppo di
intellettuali di cui faceva parte anche il creatore di Winnie the Pooh,
scrisse, nell’ottobre del 1939, la prima Dichiarazione dei Diritti
dell’Uomo:
“and even AA Milne, who motored up from Pooh Corner for the meetings to
forge a set of written guarantees against the onslaught of fascism.”
Geoffrey Robertson, “Britain's champions of liberty”, Guardian, October
2, 2000
www.guardian.co.uk/world/2000/oct/02/humanrights.comment
e anche il suo :
“Crimes Against Humanity. The Struggle for Global Justice.” 3rd ed.
London, Penguin, 2006
12
Sulla storia della pena di morte in America vedi:
win.agliincrocideiventi.it/Anno4/gennaio2006/appunti_sulla_storia_della_pena.htm
13
Costituzione della Repubblica Romana:
www.parlalex.it/documentazione/repromana.rtf
14
Carlo Cattaneo
“Della
pena di morte nella futura legislazione italiana”
Il Politecnico, Febbraio 1860
15
La “schifosa danza” viene così descritta dal Prof Barnard:
“La colonna vertebrale dell’impiccato si spezza nel punto in cui si
inserisce nel cranio, le scariche elettro-chimiche costringono le membra
ad agitarsi in una danza grottesca, sotto l’urto della corda gli occhi
escono dalle orbite e la lingua dalla bocca, mentre intestini e vescica
si vuotano simultaneamente bagnando le gambe e gocciolando al suolo ...”
Professor Chris Barnard , Rand Daily Mail of June, 12th 1978
16
La vicenda è narrata da Mereu nel quarto capitolo del suo “La morte come
pena”.
17
Certe affermazioni di giuristi del tempo come Raffaele Garofalo
anticipano l’ideologia del regime fascista e fanno presagire le Leggi
Razziali:
“Non si vede quale sia l’utilità di conservare in vita degli esseri che
non debbono più far parte della società, non si comprende lo scopo della
conservazione di questa vita puramente animale”
“il patibolo a in cui ogni anno si conducevano migliaia di malfattori,
ha impedito che la criminalità sia ai nostri giorni più largamente
diffusa tra la popolazione. Chi può dire che sarebbe oggi l’umanità se
quella selezione non fosse stata fatta; se i delinquenti avessero potuto
prolificare; se avessimo fra noi la progenie innumerevole di tutti i
ladri ed assassini dei secoli passati ?”
18
Valentina Piattelli fornisce la cifra di 4.028 condanne a morte durante
la Prima guerra Mondiale, di cui 750 eseguite. A queste dovremmo però
aggiungere le migliaia di esecuzioni sommarie.
www.squilibrio.it/media/documenti/abolizio_p_m_i.htm
vedi anche: Lorenzo Del Boca “Grande guerra, piccoli generali.” Utet,
Torino, 2007
19
A fine Ottocento non avevano o non usavano la pena di morte per i reati
comuni: Brasile, Costa Rica, Islanda, Liechtenstein, Monaco, Olanda.
Portogallo, San Marino, Uruguay e Venezuela. Erano abolizionisti Maine,
Michigan, Minnesota e Wisconsin. Lo erano anche alcuni stati tedeschi (Anhalt,
Brema, Oldenburg, Nassau, Sassonia), ma furono messi in riga da Bismark
nel 1870.
20
Secondo il Notiziario della Sezione Italiana di Amnesty International
(gennaio 1991) fra il 1926 e il 1947 le condanne a morte furono 195 e le
esecuzioni 129. Di queste, secondo altre fonti, quelle per delitti
comuni 118, di cui 65 eseguite, mentre, per altri ancora, le condanne a
morte emesse dal Tribunale Speciale furono 42, delle quali 31 furono
eseguite.
Nel periodo fra il 1867 e il 1876, le condanne a morte sarebbero state
614, di cui 392 sopravvissute al giudizio in Cassazione e 34
effettivamente eseguite. Non ci sono dati ufficiali sulla repressione
del “brigantaggio” dopo l’unità, ma c’è chi parla di 10.000 morti, fra
fucilati e uccisi in combattimento. (Angelo Del Boca, “Italiani brava
gente?” Vicenza, Neri Pozza, 2005)
All’indomani della Liberazione secondo Gianni Oliva (“La resa dei
conti”, Milano, Mondadori, 2000, p 121) le vittime sarebbero state fra
le 8 e le 10 mila, mentre, per la parte occupata dagli jugoslavi,
Galliano Fogar (Il Manifesto, 17 marzo 2004) parla di “4.000-6.000
persone scomparse in tutta la Venezia Giulia, tra il ‘43 e il ‘45, e non
solo per infoibamento.”
21
Il 10 agosto 1944 il Decreto Legge n. 224 abolì la pena di morte che
però rimase in vigore, in base al Decreto n. 159 del 27 luglio 1944, per
i reati di collaborazionismo con gli occupanti nazisti. Dopo la
Liberazione il Decreto Luogotenenziale del 10 maggio 1945 la
ripristinava per alcuni reati gravi.
22
“I cadaveri neri fecero credere ai giapponesi di essere le principali
vittime della guerra. (...) Sembrò quasi che non ci fosse stata altra
guerra al di là del lancio della bomba atomica.”
Ian Buruma, “Il prezzo della colpa”, Milano, Garzanti, 1994. P.111
23
Sul numero di omicidi:
Ministero dell'Interno
[pdf]
Ristretti
24
Regio Decreto 773 del 18/06/1931 "Dello stato di pericolo pubblico e
dello stato di guerra"
214 Nel caso di pericolo di disordini il Ministro dell'interno con
l'assenso del Capo del Governo, o i Prefetti per delegazione, possono
dichiarare lo stato di pericolo pubblico
215 Durante lo stato di pericolo pubblico il Prefetto può ordinare l'
arresto o la detenzione di qualsiasi persona (...)
216 (...) il Ministro dell'interno può emanare ordinanze, anche in
deroga alle leggi vigenti, sulle materie che abbiano comunque attinenza
all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica (...)
217 Qualora sia necessario affidare all'autorità militare la tutela
dell'ordine pubblico il Ministro dell'interno, con l'assenso del Capo
del Governo, o i Prefetti per delegazione possono dichiarare lo stato di
guerra. (...)
219 Durante il dichiarato stato di guerra sono giudicate dai Tribunali
militari le persone imputate di delitti contro la personalità dello
Stato previsti nel titolo primo del libro secondo del codice penale. Gli
imputati di delitti contro l'ordine pubblico la pubblica
amministrazione, le persone e il patrimonio sono giudicati dall'autorità
giudiziaria ordinaria,
25
Anche se “l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa” (Art. 11)
questa è prevista in altri sei articoli della nostra Costituzione (60,
78, 103, 111) e in particolare dagli Articoli 87: “Il Presidente della
Repubblica (...) dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.” e
27: “Non è ammessa la pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi
militari di guerra”. Quest’ultima parte abolita recentemente.
26
Per la pena di morte nel diritto internazionale vedi:
win.agliincrocideiventi.it/anno5/la_pena_di_morte_e_le_nazioni_u.htm
27
Il tentativo di risolvere il problema della pena di morte attraverso una
Moratoria delle esecuzioni proclamata da una Risoluzione dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite (1994 - 2007), si è mostrato arrischiato e
sterile. In proposito vedi:
.:
www.agliincrocideiventi.it/2008/03/01/sulla-moratoria-delle-esecuzioni/
.:
www.osservatoriosullalegalita.org/07/acom/06giu2/1422giustipenamors.htm
In ogni caso la situazione della ricerca italiana sulla pena di morte è
desolante. Sono più di vent’anni che nessuno scrive cose interessanti,
utili e vere sulla pena capitale e ci dobbiamo accontentare di ristampe
e traduzioni. Uno degli ultimi a farlo fu Norberto Bobbio:
“Contro la pena di morte” Conferenza tenuta a Rimini il 3 aprile 1981 in
occasione della VI assemblea nazionale della Sezione Italiana di Amnesty
International.
win.agliincrocideiventi.it/Anno4/Agosto2006/contro_la_pena_di_morte.htm
Oggi dobbiamo fare nostre le ironiche parole di Charles Duff: “chi
conosce la forca non sempre sa scrivere e chi scrive non sempre conosce
la forca, anche se qualche volta lo meriterebbe”
“Manuale del Boia” Adelphi, Milano, 1980 - 1998
28
Robert Badinter, “Contro la pena di morte”, Milano, Spirali, 2007, p 118
According to Amnesty
International
Secondo Amnesty International due terzi dei paesi del mondo non ha la
pena di morte (138), una buona metà (92) è abolizionista totale (nel
1998 erano 63 e 16 nel 1977), 10 sono abolizionisti parziali come era
l’Italia fino al 1994 (prevedono la pena di morte per reati eccezionali
come la pirateria d’alto mare o lo stupro della regina) e 36 gli
abolizionisti de-facto come era il Belgio fino al 1996 (non hanno
esecuzioni da dieci anni e paiono avviati verso l’abolizione). Mentre
sono 59 i paesi che ancora utilizzano il boia. Sempre secondo Amnesty,
dal 1976, una media di due paesi all’anno è passata all’abolizione
totale o parziale.
Dott. Claudio Giusti
Via Don Minzoni 40, 47100 Forlì, Italia
Tel. 39/0543/401562 39/340/4872522
e-mail
giusticlaudio@aliceposta.it
Claudio Giusti si è laureato, in tempi non sospetti, con una tesi sul
dissenso in URSS. Ha avuto il privilegio e l’onore di partecipare al
primo congresso della sezione italiana di Amnesty International ed è
stato uno dei fondatori della World Coalition Against The Death Penalty.
Fa parte del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Legalità e i
Diritti, ma considera ormai conclusa la sua attività sui diritti umani
ed è felicemente tornato ad occuparsi di fumetti e cartoni animati.
Allegato
Ascoltate la voce della giustizia e della ragione;
essa grida che mai il giudizio umano è tanto certo da far sì che la
società possa dare la morte a un uomo condannato da altri uomini
soggetti all’errore.
Provate a immaginare il più perfetto ordinamento giudiziario;
provate a trovare i giudici più onesti e più illuminati,
resterà sempre un margine di errore o di preconcetto.
Perché togliervi la possibilità di ripararli?
Perché condannarvi all’impossibilità di soccorrere l’innocenza oppressa?
Togliere all’uomo la possibilità di espiare la sua colpa col pentimento
o col compiere azioni virtuose, precludergli senza pietà il ritorno alla
virtù, alla stima di se stesso,
affrettarsi a farlo scendere nella tomba ancora marchiato del suo
crimine,
questa è la più orrenda e raffinata delle crudeltà.
Il primo dovere di un Legislatore è di forgiare e conservare i costumi
pubblici,
fonte di ogni libertà, di ogni benessere sociale;
egli commette l’errore più grossolano e funesto se,
per arrivare a uno scopo particolare, si allontana da quello generale ed
essenziale.
Bisogna dunque che la legge rappresenti sempre per i popoli il modello
più puro della giustizia e della ragione.
Se le leggi, invece di caratterizzarsi per un’efficace, calma, moderata
severità,
si mettono dalla parte della collera e della vendetta,
se fanno scorrere sangue che dovrebbero invece risparmiare,
e che comunque non hanno il diritto di spargere,
se offrono allo sguardo del popolo scene crudeli e cadaveri straziati
dalle torture, allora esse confondono nella mente dei cittadini il
concetto del giusto e dell’ingiusto
e fanno nascere, nella società, feroci pregiudizi che a loro volta ne
producono altri.
L’uomo non è più per l’uomo una cosa così sacra;
si ha un concetto meno alto della dignità umana quando la pubblica
autorità si fa gioco della vita.
L’idea dell’assassinio ispira molto meno orrore quando è la stessa legge
a darne spettacolo ed esempio;
l’orrore del crimine diminuisce poiché essa lo punisce con un altro
crimine.
State molto attenti a non confondere l’efficacia delle pene con
l’eccesso di severità: l’una è assolutamente l’opposto dell’altra.
Tutto è fecondo nelle leggi equilibrate, tutto cospira contro leggi
crudeli.
Per questo vi chiedo di abrogare la pena di morte
Maximilien Robespierre: discorso alla Convenzione, 30 maggio 1791
Do I contradict myself?
Very well then I contradict myself,
(I am large, I contain multitudes.)
Forse che mi contraddico?
Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico
(io sono vasto, contengo moltitudini).
Walt Whitman Song of Myself
|
|